Apple e l'Italia. Due realtà apparentemente distanti come l'oceano, ma che in realtà hanno intrecciato più volte la loro storia nel corso degli ultimi decenni. Perché Jobs e Wozniak avranno anche avuto i garage, ma noi italiani abbiamo sempre avuto la creatività. Quella primordiale, concreta e artistica, la stessa che ha permesso a generazioni di artisti italiani di entrare nella storia, di plasmarla come hanno fatto con tele e marmo. Quella creatività che ha portato persino Apple ha guardare all'Italia con interesse già negli anni '60, quando i computer si chiamavano ancora "cervelloni" e invadevano intere stanze.
È il 1965 e nelle mani di due ingegneri di Olivetti giace il primo prototipo del Perottina, nomignolo dato al Programma 101. È il 1965 e nelle mani di due ingegneri di Olivetti c'è il primo personal computer della storia. Viene presentato quello stesso anno negli USA, dove la Perotinna viene accolta come una rivoluzione. Ne vengono venduti 40 mila pezzi. È l'inizio di un'era dove i computer non sono grossi, costosi e complessi, ma vicini alle famiglie e ai lavoratori, accessibili e adatti ad affrontare processi quotidiani. Il computer arriva sul tavolo, un luogo dal quale non se ne andrà mai nonostante nel tempo abbia raggiunto tasche e polsi degli utenti. È Olivetti, un'azienda italiana, che ha rivoluzionato il settore dei computer. Che è stata copiata da una realtà americana (HP). Che ha inventato il PC.
È Olivetti che ha preceduto Apple nella rivoluzione tecnologica portata dai suoi prodotti, creando un "totem in grado di scatenare il piacere di possederli" come ha spiegato recentemente Mario Bellini, il designer che a quella Perottina conferì una forma. E non è errato pensare ad Apple come ad una sorta di erede di Olivetti, perché le rivoluzioni di entrambi hanno avuto un impatto enorme. "Hanno costruito cose analoghe, ma Jobs lo ha fatto negli USA e non in Italia". Jobs lo ha fatto in un garage, Bellini e Pier Giorgio Perotto, l'ingegnere responsabile del Programma 101, con un pezzo di plastilina. L'unico materiale adatto a dare forma all'idea di un prodotto negli anni '60.
Forme che per anni hanno ossessionato Apple e il suo fondatore Jobs. D'altronde l'estetica industriale italiana, il design dei suoi prodotti e la vivacità del settore negli anni '80 sono arrivati a solleticare persino il mercato americano. Avanti veloce. Siamo nel 1981, alla International Design Conference di Aspen. Quell'anno la fiera era riassumibile come una vera e propria venerazione del design industriale dell'Italia: Pininfarina, Agnelli, Bellini. Erano tutti presenti, tutti venerati. C'era anche Jobs. Il fondatore di Apple parlerà poi di "fonte d'ispirazione eccezionale". Nel 1981 viene piantato un seme importante nella testa dell'inventore, quello del design funzionale, del rendere i prodotti non solo belli, ma anche efficienti e mai esagerati.
Si può dire che lì, davanti a colossi italiani del design, sia nata la Apple come la conosciamo noi ora. Che di italiano ha ben più di semplici ispirazioni. Jobs ritorna in Apple nel 1997, la stravolge, taglia linee di prodotto e applica l'idea del design funzionale all'azienda stessa. Chiama figure storiche di Olivetti e dell'industria italiana, tra cui Giorgetto Giugiaro e Ettore Sottsass, progetta nuovi prodotti, lancia nuove tendenze. Diventa un'icona, un guru del design da venerare proprio come lui aveva fatto nel 1981 con i grandi nomi italiani. Per questo, più che a paragoni con illustri inventori del passato, quello con Adriano Olivetti risulta essere l'accostamento migliore, quello più realistico e giusto nei confronti di un'azienda che all'Italia deve molto.
Eleganza, semplicità e, soprattutto, funzionalità. I prodotti di Olivetti hanno avuto lo stesso impatto sul design che oggi hanno iMac, iPod e iPhone. Nonostante l'azienda italiana abbia ceduto il passo, non sia riuscita a cavalcare l'onda del successo abbandonando il settore troppo presto. Così è subentrata Apple, ne ha preso il posto e Jobs è diventato il nuovo Olivetti d'America. Ha raccolto l'eredità italiana, l'ha applicata ai suoi prodotti e persino ai suoi store. Nel 1985 Jobs visita l'Italia, rimane ancora una volta estasiato per il design non solo dei prodotti ma anche delle strutture, quelle pensate da Olivetti per ospitare i dipendenti, i negozi e le sue industrie. Fa ricoprire tutte le superfici degli Apple Store con la pietra che caratterizza i marciapiedi di Firenze. Lo fa scegliendo la stessa pietra, Il Casone di Pietraserena, che viaggia intorno al mondo per raggiungere tutti gli Apple Store.
Vi è mai capitato di osservare la foto di un negozio Olivetti degli anni '50? Grandi vetrate, senza bordi o elementi di disturbo. Prodotti disposti su tavoli in legno dalle linee pulite, esposti in vetrina come dei piccoli santini. Fotografie alle pareti, casse inesistenti. Al tempo c'erano macchine da scrivere, ora ci sono iPhone. Al tempo c'era scritto Olvietti, ora c'è una mela. Il design, il gusto, le linee italiane sono quelle che hanno spinto il successo di Apple, che hanno fatto sì che i suoi prodotti potessero rendere obsoleti persino quelli lanciati anni prima dalla concorrenza. Design, puro e semplice. Non è un caso se la figura più in vista delle conferenze di Cupertino sia Jony Ive, una delle stelle del settore contemporaneo. Ma ad Apple questo non basta più. Ora vuole ancora più Italia, vuole entrare fisicamente nel territorio, aprire un Centro di Sviluppo App a Napoli, attirare verso il suo ecosistema i creativi italiani. Perché, come scrive il collega Ciro Pellegrino, "nel Golfo baciato dal mare e da un mare di contraddizioni c'è, probabilmente, un altro tesoro che vale la pena di ricordare. C'è l'inventiva e la fantasia, c'è la passione e la capacità, un ‘design sentimentale‘ che forse, chissà, sarebbe piaciuto all'inventore della Apple e di Pixar".