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Arianna Huffington accusata di plagio: ha rubato l’idea dell’HuffPo?

Nuova querela contro Arianna Huffington, sembrava inconsistente ma, secondo il giudice “non è fumosa come potrebbe sembrare”. Ecco in cosa consiste.
A cura di Anna Coluccino
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Non c'è pace per Arianna Huffington, Dopo essere stata denunciata da buona parte dei suoi blogger per non aver mai corrisposto loro alcun compenso (e ribadendo di non avere a alcun intenzione di farlo in futuro), l'imprenditrice incassa un'altra querela: quella di Peter Daou and James Boyce, consulenti del Partito Democratico, che sostengono di essere i veri padri di quello che è oggi l'Huffington Post e di aver collaborato in maniera determinante con lei e il suo co-fondatore Kenneth Lerer alla riuscita del progetto.

Tutto comincia il 30 agosto 2010, quando i due querelanti decidono di provare a risolvere la cosa internamente –tra amici– inviando un'email alla Huffington in cui chiedevano che venisse riconosciuto il loro ruolo nella fase di creazione del giornale, e -in particolare- che gli venisse riconosciuta la paternità dell'idea che sta alla base dell'HuffPo. I due sostengono di essere stati i primi a pensare ad un piano per un sito di stampo liberal dedicato alla news, sostanzialmente il prodotto che avevano in mente si avvicinava ad una versione democratica del Drudge Report. Daou e Boyce dichiarano di aver sofferto molto per essere stati estromessi dalla fase di sviluppo del progetto, ed affermano di aver preferito tacere per sei anni soprattutto in virtù delle relazioni lavorative che li legavano a molti dei partner dell'HuffPo, i quali non avrebbero visto di buon occhio il loro eventuale coinvolgimento in una disputa per la paternità del progetto. "Ma soprattutto" affermano  "abbiamo taciuto perché nei nostri cuori, anno dopo anno, sopravviveva la convinzione che la situazione sarebbe stata chiarita, perché credevamo sinceramente che avreste fatto la cosa giusta, riconoscendo la centralità e l'importanza del nostro ruolo nella creazione del sito, e ammettendo che noi quattro, dopo quel critico incontro che ci vide riuniti, lavoravamo in condizioni di partnership".

Ma Arianna non ci sta, non riconosce alcun ruolo a Daou e Boyce nella creazione del sito e, in effetti, sono in molti giornali che parlano di Facebook Effects, ovvero della tendenza per cui ogni qual volta che una società assurge agli onori della cronaca e comincia a diventare ricca e importante, spuntano fuori decine di persone che ne reclamano la paternità.

Questa la piccata risposta della Huffington alle richieste degli ex colleghi: "Ho letto la vostra email, e devo dire che mi ha lasciato senza parole. L'idea che, dopo quasi sei anni, voi abbaiate sempre creduto che avessimo un rapporto di ‘partnership' al fine di creare e gestire l'Huffington Post è stupefacente. E ridicola. Non abbiamo mai stabilito una partnership, né alcun altro genere di accordo con voi -né in forma scritta, né in forma orale- concernente la proprietà dell'Huffington Post. Durante tutti questi anni, non avete sostenuto alcun obbligo finanziario, né condiviso i rischi relativi all'Huffington Post. Non avete in alcun modo partecipato alla gestione dell'Huffington Post. Non avete mai né condiviso né chiesto alcun genere di  informazione finanziaria e gestionale. Difficilmente questa può essere definita una partnership".

Legalmente parlando, le affermazioni di Arianna sembrano ineccepibili eppure, recentemente, i due querelanti hanno trovato un giudice che ritiene la causa "non così fumosa come appare" e meriterebbe un approfondimento. Insomma, stando all'udienza preliminare dello scorso 24 maggio, si direbbe che Daou e Boyce abbiano, quanto meno, la possibilità di presentare le loro argomentazioni e, anche se una vittoria sembra fortemente improbabile, per il momento è stato loro concesso di andare avanti con le indagini e la raccolta di prove.

Staremo a vedere. Arianna, comunque, non sembra affatto contenta di come si stanno evolvendo le cose.

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