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Avevano manifestato contro Google: ora i dipendenti denunciano ritorsioni dall’azienda

La lettera di denuncia di due impiegate dell’azienda e inviata ai colleghi è stata firmata anche da altri dieci organizzatori delle proteste che a fine 2018 avevano messo Google alle strette per il modo in cui gestiva le dispute lavorative in tema di discriminazioni e molestie a sfondo sessuale.
A cura di Lorenzo Longhitano
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A novembre dell'anno scorso migliaia di dipendenti Google in tutto il mondo sono scesi in piazza per manifestare contro l'azienda e le modalità con le quali aveva sempre gestito le dispute lavorative in tema di discriminazioni e molestie a sfondo sessuale. La società aveva accolto alcune delle richieste di cambiamento avanzate dai dipendenti in quei giorni, ma ora — ha raccontato Wired — due delle impiegate che hanno contribuito a organizzare la manifestazione stanno denunciando ritorsioni da parte dell'azienda, che starebbe rendendo impossibile la loro vita lavorativa.

Le due, Meredith Whittaker e Claire Stapleton, hanno affidato al sistema di email interno alla società la propria denuncia rivolgendosi così prima di tutti ai colleghi, ed entrambe hanno raccontato di una rappresaglia a livello lavorativo pensata però per non dare a intendere di avere alcunché di ricollegabile alle proteste del 2018. La prima ha raccontato di essere stata recentemente obbligata a interrompere il proprio lavoro relativo all'etica nell'intelligenza artificiale e rinunciare alle posizioni ricoperte all'interno dell'AI Now Institute della New York University, da lei stessa fondato. La seconda ha raccontato invece di essere stata estromessa dal suo ruolo di marketing manager in YouTube, di essersi vista assegnare il proprio lavoro ad altri colleghi e di essersi sentita consigliare di prendersi un periodo di malattia; dopo aver assunto un avvocato — ha concluso — ha riacquistato la sua posizione originale ma è rimasta bloccata in un ambiente di lavoro ostile.

Nella lettera, firmata da altri dieci dipendenti oltre alle due protagoniste degli eventi raccontati, si legge che "Google conserva una cultura della ritorsione, troppo spesso indirizzata a imporre un bavaglio a donne, persone di colore e minoranze di genere. Questo tipo di ritorsione non è sempre palese, anzi è spesso diluita nel tempo ed estenuante, fatta di colloqui gelidi, manipolazioni, progetti cancellati dal nulla, rifiuti e declassamenti: comportamenti insomma perpetrati per far credere alle vittime che il problema non consiste nell'aver protestato contro l'azienda ma semplicemente nel fatto che non valgono abbastanza". Google dal canto suo ha già respinto ogni accusa. Nelle parole di un suo portavoce, la società ha affermato di aver sempre "proibito le ritorsioni sul posto di lavoro e condotto regolari indagini dopo accuse del genere"; per quel che riguarda la vicenda in esame Google ha dichiarato inoltre che "non si tratta di casi di ritorsione", e che "a impiegati e gruppi di lavoro vengono costantemente assegnate nuove mansioni, affinché la società possa stare al passo con le esigenze del mercato".

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