Banda ultralarga, focus sul mega-progetto per rinnovare l’Italia
Immaginiamoci in questo periodo storico chiusi in casa senza alcun tipo di connessione o con una connessione lenta o saltellante. Come faremmo col lavoro, gli studi, i contatti sociali, l’intrattenimento? Ora, spostiamoci dal piano dell’immaginazione a quello della realtà e prendiamo coscienza che questa è la situazione di una fetta consistente della popolazione italiana. In particolare di tutti coloro che abitano le cosiddette “aree bianche”, con cui la Commissione Europea indica tutte quelle zone “a fallimento di mercato” in cui gli investitori privati non hanno manifestato alcuna intenzione di investire con proprie infrastrutture di reti ultrabroadband. Si dirà: saranno pochi paesini di montagna… Come anticipato, “aree bianche” si trovano nel 93.6% dei Comuni italiani – mica poco. A volte sono integrali: il paese non è raggiunto nella sua interezza dalla fibra; altre volte può trattarsi di una frazione o di alcuni quartieri. La situazione in tempo reale è consultabile sul sito dedicato del Ministero dello Sviluppo Economico.
Una rete unica destinata a rimanere pubblica
Ed è proprio lo Stato a essere intervenuto con decisione su questo fronte, tramite l’indizione di tre gare, tutte vinte da Open Fiber. Il piano, attualmente in corso di realizzazione, prevede l’implementazione della fibra ottica FTTH con velocità fino a 1 Gbit/s per le aree cittadine e gli agglomerati di unità abitative, mentre per le zone rurali o impervie e le case sparse è prevista la predisposizione di radiocollegamenti FWA. Si tratta di un intervento davvero colossale, che ha connesso circa 10.5 milioni di unità immobiliari – di cui 3.7 in aree a fallimento di mercato – e oltre 1900 comuni, di cui 1744 in aree a fallimento di mercato. L’importanza di questa infrastruttura che attraverserà – letteralmente – ogni angolo del Paese, risiede anche nel fatto che, a fronte di una concessione ventennale a Open Fiber, rimarrà pubblica. Un “dettaglio” fondamentale vista la sua assoluta strategicità.
L’Italia mette la freccia
Come ha affermato Elisabetta Ripa, amministratore delegato Open Fiber, al momento dell’aggiudicazione della terza gara “connettere tutto il Paese con una rete interamente in fibra ottica è fattore essenziale per garantire a tutti parità di accesso alle tecnologie e ai servizi di oggi e a quelli che saranno sviluppati in futuro. Grazie allo sforzo congiunto tra Ministero dello Sviluppo Economico, Infratel, enti locali e Open Fiber porteremo l’Italia a recuperare il gap tecnologico accumulato negli anni passati”. La tecnologia che Open Fiber sta portando in tutta Italia prevede che la fibra arrivi fino a casa con intuibili effetti sulla velocità di connessione. I cavi in fibra, oltre a essere molto più sottili, sono “spenti”: ciò significa che possono “convivere” con quelli in rame senza interferenze. Caratteristiche queste che consentono spesso il riutilizzo del cablaggio esistente o, laddove del tutto assente, necessitano di scavi minimi (spesso chiamati microtrincee). Facciamo alcuni esempi tratti dal massiccio intervento in corso in Toscana. In questa regione l’investimento privato di Open Fiber per la realizzazione della rete è di 150 milioni di cui 42 milioni solo per Firenze, che ha al momento ha già 56mila tra case, uffici e negozi connessi. In totale nei maggiori centri della regione, da Arezzo a Grosseto, da Pisa a Livorno, passando per Campi Bisenzio, Lastra a Signa e tanti altri sono connesse oltre 250 mila unità case. Nelle zone a fallimento di mercato sono aperti alla vendibilità 50 comuni per un totale di 55 mila unità immobiliari connesse. A Porto Azzurro (in cui le infrastrutture di Open Fiber sono già a disposizione degli operatori privati per la vendita dei loro servizi) è stato riutilizzato il 62% dell’infrastruttura preesistente, per un totale di 12,6 km di cavo posato; a Rio Marina la percentuale di infrastruttura riutilizzata è salita all’81%, per 18,9 km di cavo. E via così. Insomma, il vero eventuale ostacolo alla velocità con cui questa infrastruttura verrà portata a termine non è legato alla tecnologia da implementare, ma alla resistenza degli apparati burocratici degli enti territoriali coinvolti.
Un indotto interessante e… sorprendente
Mettere mano a un’infrastruttura così imponente e ramificata sta facendo emergere importanti indotti. Il primo, va da sé, è quello lavorativo: attualmente, tra progettisti e operai specializzati, sono coinvolti oltre 10.000 lavoratori. Ma uno dei punti dolenti, che può tramutarsi in una preziosa occasione per moltissimi giovani, è che si tratta di profili professionali di difficilissimo reperimento sul mercato del lavoro. Oltre a rappresentare un’importante occasione per il rilancio del lavoro in Italia, l’implementazione di questa infrastruttura è per molti Comuni anche l’occasione per ricostruire molte strade senza pesare sui bilanci spesso risicati. E non solo: in un Paese ricco di storia come il nostro, spesso è necessario smuovere pochi centimetri per imbattersi in veri e propri tesori: è sorprendente che siano già emersi, tra gli altri, i resti di un uomo del Neolitico a Teramo, degli scheletri romani nel Lazio e un’intera necropoli a Gela. A dimostrare come la nostra storia non sia in antitesi con la modernizzazione del nostro Paese, ma che entrambe possano sempre accrescersi a vicenda.