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Churchbook, la presenza e le modalità di interazione dei seminaristi italiani su Facebook

Un’analisi realizzata dal Cremit dell’Università Cattolica di Milano e dal dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Perugia ha esaminato la presenza e le modalità di interazione dei religiosi italiani sul social network più utilizzato nel Bel Paese.
A cura di Dario Caliendo
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Il 59,7 percento dei seminaristi è su Facebook. E' questo quanto emerge da una ricerca realizzata dal Cremit (centro di ricerca sull’educazione ai media, all’informazione e alla tecnologia) dell’Università Cattolica di Milano e dal dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Perugia, che nella giornata di ieri è stata presentata alla Cattolica e trasmessa in diretta web su YouTube.

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Lo studio, battezzato dagli analisti "Churchbook", ha indagato circa la presenza e le tipologie di utilizzo del social network più diffuso al mondo da parte di sacerdoti, religiosi suore e seminaristi, e l'ha fatto analizzando per tre anni 2385 profili di preti e suore italiane, appartenenti a nove diocesi e scovati partendo da un elenco che comprendeva oltre tredicimila nominativi di uomini e donne appartenenti ai diversi ordini religiosi.

“In ogni espressione di comunicazione, più o meno densa, c’è in gioco qualcosa di noi” ha affermato don Dabide Milani nel corso della ricerca, direttore dell’ufficio comunicazioni della diocesi di Milano. Una ricerca che ha tentato di mettere in evidenza soprattutto il modo di porsi dei sacerdoti italiani sul social network, ed ha messo in evidenza che praticamente tutti i religiosi seguono un trend di comportamento molto simile: nella scelta della foto da utilizzare come profilo sul social network ad esempio, la preferenza ricade quasi sempre in fotografie realistiche o poetiche, e c'è anche un corposo 25 percento che sceglie di usare la scansione di una foto tessera.

Univocità nelle interazioni anche per quanto riguarda le amicizie sui social anche se, soprattuto in questo caso, le modalità d'utilizzo di Facebook si differenziano molto tra preti e suore. Le amicizie di oltre il sessanta percento degli uomini ecclesiastici italiani presenti nel social network è infatti composta da parrocchiani, attuali o precedenti (nel caso dei preti), oppure da altri religiosi. Per quanto riguarda le suore invece, che utilizzano Facebook con una modalità di interazione molto più aperta, è molto frequente che gli amici virtuali siano non solo persone religiose, ma anche utenti comuni.

E mentre Papa Francesco lo scorso Gennaio ha benedetto la rete definendola "un dono di Dio", Fabio Pasqualetti (dell'Università Pontificia Salesiana) aggiunge che "già nel 1962 Giovanni XXIII diceva che l’indole della chiesa doveva essere prevalentemente pastorale”, sottolineando che “Sui social siamo sempre sottoposti a dare un parere, ti piace non ti piace, ma il pensiero pensante ha bisogno di tempi. Limitarsi a dire ‘mi piace’ o no riduce la capacità espressiva e  se non siamo noi a raccontarci, lo fanno gli altri e anche questa è forma di dittatura moderna, fatta da moda e trend. Dobbiamo recuperare la parola, che ha un suo spazio fondamentale”.

Ed è proprio questo il punto centrale dell'analisi. In un'epoca nella quale il modo di comunicare è in continua evoluzione, in cui tutto e sociale, in cui tutto è marketing, in che modo la Chiesa e gli ecclesiastici sfruttano questi nuovi mezzi di comunicazione? Anche in questo caso la ricerca ma dato vita ad una serie di "categorie": a partire dal predicatore fino ad arrivare all'attivista, le figure religiose italiane (soprattutto i giovani, con un'età che varia dai 18 ai 40 anni) utilizzano i social network per comunicare la propria fede tentando di abbattere le barriere e arrivare anche in luoghi che la chiesa tradizionale non è riuscita a raggiungere.

“Chi ha molti amici, posta con frequenza e si sposta verso il profilo dell’ “opinionista” – spiega il professor PIER Cesare Rivoltella, direttore del Cremit – "e chi ha meno amici, posta anche di meno, ma con uno stile di comunicazione più decisamente caratterizzato dalla condivisione. Come a dire che una grande platea incentiva la comunicazione one-way e i comportamenti da palcoscenico, laddove invece la condivisione vuole numeri più contenuti e un ritmo più disteso di pubblicazione. La dialettica tra velocità e lentezza, con tutto quello che comporta, si propone anche nel caso della comunicazione pastorale nel Web”.

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