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Così la tecnologia cambierà il cinema (in tre dimensioni)

Amato, odiato e spesso incompreso. L’industria del 3D macina ormai diversi miliardi di dollari all’anno nonostante i tanti pregiudizi nati dai suoi primi confusionari anni di vita. Ora il settore nato da un pulcino vuole usare la tecnologia per rivoluzionare il cinema.
A cura di Marco Paretti
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"Il problema dell'uovo e la gallina l'abbiamo risolto con un pollo". Mentre racconta gli ultimi 20 anni della sua vita Michael Lewis ha il tipico portamento pacato dei CEO americani, giacca chiara, sguardo deciso, voce profonda. "Tutto è iniziato con un pulcino" ci racconta all'interno di una piccola sala riunioni del Centre Convencions Internacional, il complesso fieristico di Barcellona dove si svolge la CineEurope. Lo fa con una sicurezza che tradisce il suo essere non solo il responsabile di una delle aziende principali nel settore del 3D, RealD, ma anche una delle figure che per prime hanno lavorato e creduto in una tecnologia che, pur costituendo un apporto economico notevole per il settore, viene spesso bistrattata dal pubblico. "Ormai sono passati 20 anni da quando Imax ci ha chiesto di produrre due film in tre dimensioni". Siamo nella metà degli anni '90, quando la tecnologia 3D che conosciamo oggi era ancora lontana. Poi è bastato un pulcino per cambiare tutto.

La sfida era notevole: capire come poter utilizzare la nuova tecnologia nonostante le limitazioni apparentemente insormontabili. Camere pesanti 180 chili che consentivano solo 3 minuti di ripresa continua, poi andava cambiata la pellicola con un'operazione di circa 45 minuti. Il tutto senza poter registrare nessun tipo di audio in presa diretta, perché le cineprese producevano un rumore paragonabile a quello delle lavatrici. "Era una sfida incredibilmente complessa" racconta Lewis. "L'ambiente produttivo era ostile in ogni senso, ma il risultato era fenomenale". Così è iniziata la missione apparentemente impossibile di RealD: rendere il 3D un business sostenibile e trovare una tecnologia che potesse rendere tutto il processo di produzione e proiezione più semplice e meno macchinoso.

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"Abbiamo contattato un'azienda californiana che forniva tecnologia 3D alla Nasa e ai militari" spiega Lewis. "Questa realtà costruiva dispositivi e occhiali in grado di realizzare e mostrare modelli in 3D di automobili, velivoli e altre attrezzature militari. Abbiamo preso questi elementi e li abbiamo adattati ai proiettori digitali". Il digitale ha rappresentato la prima grande rivoluzione del settore: con le pellicole è difficile sincronizzare perfettamente le immagini destinate ai due occhi, mentre con il digitale è nettamente più semplice. In questo modo, peraltro, il malessere dovuto al 3D si è ridotto drasticamente, rendendo la tecnologia sempre più vicina al mercato di massa. Sfruttando i dispositivi prodotti dall'azienda californiana, l'azienda di Lewis ha realizzato una soluzione tecnologica in grado di essere installata in ogni cinema esistente.

Siamo nel maggio del 2005: RealD chiama Disney per proporre il 3D e Tim Cook si presenza con 30 manager per visionare la nuova tecnologia. "Nella stanza c'erano cinque persone addette al proiettore, non eravamo sicuri che funzionasse tutto alla perfezione". Invece il 3D convince e Disney commissiona i primi 100 schermi per proiettare Chicken Little in 3D. Il pulcino che ha dato inizio al 3D moderno. Risolto il problema delle sale, il nuovo grade ostacolo era quello del supporto da parte dei registi; possedere tecnologia e cinema significava poter proiettare dei contenuti che, però, non esistevano ancora. È a questo punto che James Cameron ha cominciato ad interessarsi al segmento, girando diversi documentari in 3D per prepararsi al suo debutto in grande stile con Avatar, una delle pietre miliari dell'avanzata delle tre dimensioni al cinema. A ruota hanno seguito le sue orme Martin Scorsese, Ang Lee, Alfonso Cuarón, Ridley Scott e altri registi che hanno contribuito all'espansione del 3D.

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Nel 2007 le sale attrezzate con la tecnologia di Lewis sono più di mille: inizia l'epoca d'oro del 3D, ma anche quella più problematica. "Quando un film in 3D non è realizzato bene, l'esperienza per il pubblico è terribile" continua il CEO. "È come quando vai a vedere un film in 2D: ti aspetti che sia a fuoco". Il problema di quegli anni è che un po' tutte le case di produzione hanno cercato di saltare sul carrozzone delle tre dimensioni, proponendo diverse versioni 3D di franchise già affermati sfruttando tecnologie obsolete e lavorazioni approssimative. Nello stesso periodo molte sale si sono attrezzate con impianti di proiezione 3D vecchi. La combinazione delle due cose ha provocato una serie di problematiche e pregiudizi le cui ripercussioni si possono notare ancora oggi nella diffidenza degli spettatori nei confronti del 3D. Basti pensare alle sale che sfruttano ancora un sistema attivo, cioè basato su occhiali pesanti, ingombranti e dotati di sistema interno che interagisce con la tecnologia presente in sala. Quelle più aggiornate, invece, si basano sui sistemi passivi, che richiedono solo la presenza di occhiali in plastica leggeri.

Il risultato è un settore ancora frammentato dove le produzioni cinematografiche si sono ormai assestate su buoni livelli, mentre le sale faticano ad aggiornarsi a sistemi di ultima generazione contribuendo all'idea che il 3D sia una bolla pronta a scoppiare. Un'idea sostenuta anche dal fallimento del 3D commerciale all'interno delle televisioni. "Non penso sia mai esistito un business delle televisioni 3D" ha spiegato Lewis. "Il comportamento dei consumatori è totalmente diverso in sala e a casa: quando sei sul divano guardi la TV in maniera differente, usi il telefono, il tablet, bevi e mangi. Non puoi indossare occhiali. L’industria ha pensato di poter replicare l’esperienza cinematografica, ma non funziona. Secondo noi la soluzione è la tecnologia glass-free, senza occhiali. Nel corso dei prossimi anni speriamo di introdurre questo approccio nel settore".

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Ma il 3D non è ancora morto. "Miliardi di dollari ogni anno arrivano dal settore 3D", il cui fatturato nel 2015 è cresciuto del 20 percento rispetto all'anno precedente. In un mercato che macina circa 40 miliardi di dollari all'anno, il 3D genera tra gli 8 e i 9 miliardi di dollari. Ad oggi 28.000 schermi in 72 Paesi diversi – 500 solo in Italia – sono RealD, su un totale di 74.562 schermi adibiti ai contenuti in tre dimensioni. "Nel 2005 l'industria era in declino, il 3D è stato un elemento fondamentale per la sua ripresa". Ora, però, la tecnologia deve evolversi e mantenere a galla un settore comunque messo a rischio dall'avvento dell'era di Netflix e della realtà virtuale. Proprio a questo servono manifestazioni come la CineEurope di Barcellona, dove si cerca di rivoluzionare non solo la "semplice" proiezione ma tutta l'esperienza del cinema, dai popcorn alle sedie, passando per i gadget e l'arredamento. D'altronde, come sottolinea anche Lewis, una tecnologia che funziona lo fa dal momento della ripresa a quello della proiezione, perché in questo modo si evitano sbavature dovute da sistemi obsoleti o poco funzionali che rischiano di influenzare negativamente il resto del lavoro.

Per questo RealD ha presentato un elemento solo apparentemente esterno alla sua mission: l'Ultimate Screen, uno schermo particolare che va ad aggiornare uno degli elementi più antichi ma tuttora presenti in ogni sala. Nonostante l'aggiornamento al digitale, l'avvento del 3D e la qualità crescente di film e contenuti video, infatti, lo schermo è rimasto pressoché invariato: il Silver Screen, un telo dipinto d'argento. Frutto di 7 anni di lavoro, l'Ultimate Screen si pone come l'imminente evoluzione della superficie sulla quale si rincorrono le immagini cinematografiche. Al posto di essere dipinto a mano – con le inevitabili disomogeneità che ne derivano – lo schermo di RealD è ingegnerizzato, assorbe solo l’1% della luminosità (contro il 6% del suo predecessore) ed è ricoperto da fori di 150 micron: quelli del Silver Screen erano grandi 1,5 millimetri. Il risultato è un'immagine più chiara e che, soprattutto, non mostra la "grana" dovuta ai buchi presenti sul vecchio schermo.

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È questo l'asso nella manica del settore per contrastare, tra le altre cose, l'avanzata dell'esperienza immersiva offerta dalla realtà virtuale. "Penso che la realtà virtuale cerchi di ottenere il nostro stesso obbiettivo, cioè quello di creare ambienti estremamente immersivi e reali" ha concluso Lewis. "Personalmente penso sia più interessante vedere 300 persone in un ambiente condiviso mentre guardano un film. Non mi piacciono i visori perché sono molto isolanti, piuttosto sarebbe interessante una fusione delle due cose, creando per esempio stanze più immersivi caratterizzate da schermi più grandi".

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Giornalista dal 2002 specializzato in nuove tecnologie, intrattenimento digitale e social media, con esperienze nella cronaca, nella produzione cinematografica e nella conduzione radiofonica. Caposervizio Innovazione di Fanpage.it.
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