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“Crea dipendenza nei bambini”: la ex impiegata attacca Facebook davanti al Senato USA

Dopo i documenti fatti trapelare negli scorsi giorni, la ex dipendente di Facebook Frances Haugen ha raccontato al Senato USA alcune pratiche e politiche interne ai social del gruppo delle quali ha avuto testimonianza. La risposta del fondatore Mark Zuckerberg è arrivata in poco tempo: “Sono accuse senza alcun senso”.
A cura di Lorenzo Longhitano
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Le accuse nei confronti di Facebook da parte della ex dipendente Frances Haugen sono arrivate fino al Senato degli Stati Uniti. Dopo aver fatto trapelare documenti interni all'azienda che ne mettono sotto i riflettori le pratiche in merito a tutela dei bambini online e diffusione di odio, nella giornata di ieri la ex product manager dell'azienda di Menlo Park ha testimoniato di fronte subcommissione per la tutela dei consumatori del Senato USA per rendere note quelle che nella sua versione dei fatti sono state scelte deliberate da parte dell'azienda che mettono in pericolo gli utenti alla ricerca del massimo profitto possibile. "Sono qui quest'oggi — inizia la testimonianza di Haugen — perché sono convinta che i prodotti di Facebook danneggino i bambini, provochino divisioni e indeboliscano la nostra democrazia".

Le accuse a Facebook

Tra i comportamenti scorretti perpetrati nella ricerca del massimo profitto secondo Hauges c'è la volontà di Facebook di proporsi ai bambini rendendoli dipendenti dai suoi social fin dalla giovane età. "Facebook sa che se vuole continuare a crescere deve trovare nuovi utenti, ovvero assicurarsi che la prossima generazione sia altrettanto presa da Instagram quanto lo sono quelle attuali. E il modo in cui lo fanno è assicurandosi che i bambini sviluppino una dipendenza prima ancora che possano sviluppare un autocontrollo". Il riferimento è a Instagram Kids, il progetto di una versione di Instagram dedicata ai minori di 13 anni che è stato messo in pausa perché sommerso dalle critiche: "Sarei molto sorpresa se emergesse che hanno effettivamente smesso di lavorarci".

L'altra grande accusa mossa al social è quella al centro dei documenti fatti trapelare negli scorsi giorni alle testate di informazione, e riguarda gli algoritmi di Facebook che visualizzano i contenuti con maggior potenziale di ricondivisione. Un aggiornamento del 2019 ha dato a questi sistemi la libertà di scegliere tra contenuti appartenenti a più argomenti adiacenti — con lo scopo di tenere gli utenti più tempo sul social e poter mostrare loro più inserzioni. Così facendo però l'algoritmo ha fatto finire sui telefoni degli utenti contenuti che promuovevano temi come disordini alimentari, disinformazione e odio. "Facebook sa che il suo sistema su Instagram può portare in pochissimo tempo dal cercare ricette salutari al trovarsi di fronte post che promuovono l'anoressia; sanno che stanno promuovendo ai ragazzi questi contenuti", e lo stesso vale sul social principale per disinformazione, fake news e divisione: per Haugen le ricerche evidenziano che i contenuti che fanno leva su paura e odio fanno più condivisioni, Facebook ne è al corrente e pur avendo il potere di intervenire non lo fa.

Interventi insufficienti

Una delle ultime iniziative mirata al benessere degli utenti prevedeva di eliminare il conteggio dei Mi piace dai post su Instagram per impedire che gli utenti fossero ossessionati da questa metrica nel pubblicare i loro contenuti. Quel progetto — afferma Haugen — è stato lanciato sapendo che non avrebbe funzionato: nonostante studi preliminari che ne evidenziavano l'irrilevanza, l'iniziativa è stata avviata per placare opinione pubblica e legislatori. Lo stesso Zuckerberg — continua Haugen — aveva la possibilità di bloccare l'algoritmo del 2019 durante le rivolte in Birmania dell'anno successivo: il social era accusato di essere diventato una piattaforma per la diffusione di odio e l'incitamento alla violenza nel Paese, eppure "Mark, davanti alla scelta di mettere in pausa il sistema, ha scelto di non farlo".

In generale il lavoro dei dipendenti che hanno il compito di realizzare sistemi di salvaguardia per gli utenti è contrastato da quello dei responsabili prodotto che hanno invece l'obbiettivo di far crescere Facebook, Instagram e WhastApp — in uno scontro interno che finisce per contrapporre il benessere delle persone al profitto del gruppo, che nel 2020 è stato di 29 miliardi di dollari al netto di tutte le spese.

La risposta (indiretta) di Zuckerberg

Le accuse non sono ovviamente passate inosservate. Il numero uno dell'azienda Mark Zuckerberg è stato criticato per non avere messo la faccia nel confronto, e ha replicato a quanto affermato in questi giorni da Haugen con una lunga nota affidata a Facebook nelle scorse ore. Nel post, il fondatore di Facebook sostiene che le osservazioni di Hauges non abbiano "alcun senso", e che il social si preoccupa di tutti gli aspetti riguardanti sicurezza online e benessere degli utenti, mentre il portavoce di Facebook Andy Stone ha voluto sottolineare come Haugen non abbia lavorato direttamente sui temi dei quali parla.

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