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Diritto all’Oblio, il Garante della Privacy accoglie due richieste rifiutate da Google

Il Garante della Privacy ha dato notizia oggi delle prime pronunce sui casi di “diritto all’Oblio” che Google inizialmente non aveva accolto. In due casi su nove il Garante ha accolto le richieste degli utenti italiani e ha prescritto a Google di deindicizzare le url segnalate.
A cura di Francesco Russo
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Il Garante della Privacy ha dato notizia oggi delle prime pronunce sui casi di "diritto all'Oblio" che Google non aveva accolto e che riguardavano casi di richieste di deindicizzare pagine presenti sul web che riportavano dati personali ritenuti non più di interesse pubblico. Proprio in merito alla sentenza della Corte di giustizia UE, del maggio scorso, Google è tenuta a dare un riscontro alle richieste di cancellazione, dai risultati della ricerca, delle pagine web che contengono il nominativo del richiedente reperibili utilizzando come parola chiave il nome dell'interessato. Il colosso di Mountain View deve poi valutare, man mano che arrivano le richieste, diversi elementi, tra cui l'interesse pubblico a conoscere la notizia, il tempo trascorso dall'avvenimento, l'accuratezza della notizia e la rilevanza della stessa nell'ambito professionale di appartenenza.

Una volta che Google completa le sue valutazioni sulle richieste ricevute, può anche decidere di non accogliere alcune richieste in quanto non ritenute valide in merito agli elementi che esse devono contenere per essere accolte. E di fronte a questa ultima situazione, gli utenti italiani hanno ancora la possibilità di potersi rivolgere proprio al Garante della Privacy, oppure all'autorità giudiziaria.

Il Garante fa sapere oggi che le segnalazioni e i ricorsi pervenuti all'autorità, riguardano la richiesta di deindicizzazione di articoli relativi a vicende processuali ancora recenti e in alcuni casi non concluse. Nello specifico, in sette casi su nove il Garante si è allineato alla decisione di Google di non accogliere tali richieste, "in quanto è risultato prevalente l'aspetto dell'interesse pubblico ad accedere alle informazioni tramite motori di ricerca, sulla base del fatto che le vicende processuali sono risultate essere troppo recenti e non ancora espletati tutti i gradi di giudizio".

Invece, in due casi l'autorità ha accolto la richiesta dei segnalanti, specificando che nel primo caso i documenti pubblicati su un sito contenevano numerose informazioni eccedenti, riferite anche a persone estranee alla vicenda giudiziaria narrata. Nel secondo caso la decisione è stata motivata perché la notizia pubblicata era inserita in un contesto idoneo a ledere la sfera privata della persona. Tutto ciò in violazione delle norme del Codice privacy e del codice deontologico che impone di diffondere dati personali nei limiti dell'"essenzialità dell'informazione riguardo a fatti di interesse pubblico" e di non descrivere abitudini sessuali riferite a una determinata persona identificata o identificabile.

Il Garante ha quindi prescritto a Google di deindicizzare le url segnalate.

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