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Essere James Bond nell’era del Web 2.0, una storia triste (per le spie e per gli spiati)

Un documento della Homeland Security certifica che tra le operazioni anti-terrorismo attive negli USA c’è il costante monitoraggio di Facebook, Twitter, MySpace, ma assicura che si tratta solo di raccolta di informazioni per l’identificazione personale. E pensare che, un tempo, “essere una spia” era sinonimo di una vita al limite della fantascienza. Oggi qual è la differenza tra una spia e un voyeur?
A cura di Anna Coluccino
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facebook spionaggio

C'erano una volta le spie, quelle che hanno ispirato decenni di letteratura, di produzione cinematografica, di fumetti, di serie televisive… C'era una volta Mata Hari la cui storia rocambolesca, emozionante ancora non smette di affascinare studiosi e scrittori, tanto che un nuovo film -a firma Davide Carradine- dovrebbe uscire quest'anno nelle sale… C'erano una volta vite vissute al cardiopalma, strumenti tecnologici d'ultima generazione, viaggi esotici e il pericolo che diventa un mestiere.

C'era una volta.

Oggi ci sono i social network.

Oggi ci sono MySpace, Facebook, Twitter. Oggi l'attività quotidiana di una spia, quella a cui è costretto a dedicarsi anima e corpo, è qualcosa di molto simile all'attività quotidiana di quasi un miliardo di persone: spulciare profili online.

Anni di gloriosa letteratura finiscono qui, in una vita passata a fare il guardone tra le foto, gli status, le preferenze, i gusti, i link, i passaggi di relazione sentimentale. Nessuna effrazione all'alba allo scopo di impossessarsi di un'immagine compromettente, nessun viaggio, nessuna missione sotto copertura alla scoperta delle abitudini di un possibile bersaglio. La maggior parte delle spie passa la sua vita davanti a un PC: esattamente come fa una segretaria, un bancario, un impiegato comunale.

Tutto è lì, sul web, in attesa di essere scansionato, incrociato con altri dati, catalogato e usato come possibile prova. Niente adrenalina, niente licenza di uccidere, solo occhiali anti-riflesso e noia mortale.

Ho reso l'idea?

Bene. Allora, possiamo allontanarci per un attimo dall'iperbole per calarci nella realtà dei fatti.

Abbiamo già parlato del nuovo reparto CIA addetto al monitoraggio (parola che spesso e volentieri viene utilizzata come edulcorazione di spionaggio) di Facebook & Co, ovvero i ninja librarians, ma non li abbiamo mai guardati come facenti parte di un ordito più complesso.

Let's do it.

I Ninja Librarias – Nome cool, lavoro nerd

Al di là del nome, che suggerisce un'idea di personaggio decisamente cool, i ninja librarians sono degli analisti la cui tipica giornata lavorativa può essere riassunta in pochi step: sveglia, doccia, colazione, metropolitana/auto/bus, otto-dieci ore di computer intervallato dal pranzo, metropolitana/auto/bus, cena, letto.  Certo, non si può esser del tutto sicuri che spiare i profili Facebook di sospetti terroristi e incrociarli con quelli Twitter non possa riservare una qualche emozione, ma la differenza tra una spia old fashioned e un ninja librarians è la stessa che passa tra un giocatore di calcio e uno di Proevolution Soccer.

È fuor di dubbio che occorra essere dei gran cervelloni per tenere sotto controllo milioni di post, tweet e status redatti in tutte le lingue del mondo, ma tra il fare un mestiere che richiede una mente attenta e pensante e vivere un'esistenza all'insegna dell'avventura c'è un abisso, il che significa che l'iconografia delle spie -da sempre incline al ritratto temerario- necessita di una doverosa ritoccatina.

In ogni caso, i ninja librarians della CIA (agenzia a cui fatto capo i bibliotecari ninja) non sono l'unico "corpo speciale" anti-terrorismo dell'era Web 2.0. Tutti gli altri enti, agenzie governative, istituti che si occupano di sicurezza nazionale si stanno dotando di reparti che hanno come unico scopo quello di controllare la vita online delle persone, tanto che il Dipartimento di Homeland Security, ovvero l'organizzazione a cui fanno capo tutte le realtà che si occupano di anti-terrorismo, ha diffuso un documento che contiene le valutazioni riguardo l'impatto sulla privacy delle pratiche di monitoraggio dell'attività sui social media messe in atto da tutte le realtà controllare dal DHS.

Questo significa che lo stato dell'arte è talmente avanzato da aver già determinato l'insorgere di problematiche relative alla privacy e una conseguente -immancabile quanto inaffidabile- rassicurazione.

Del resto, se è vero com'è vero che un profilo web, per quanto facilmente accessibile, rappresenta un'area privata della vita personale, l'irruzione in quell'area  -in teoria- dovrebbe seguire gli stessi criteri di prudenza, cautela ed eccezionalità che precedono la decisione di compiere un'effrazione. Invece pare proprio che la violazione degli account sia più che mai all'ordine del giorno, tanto da essere perpetrata senza alcuna conseguenza ma bel lungi dall'essere "ammessa" in quanto pratica consolidata.

Homeland Security – Le web spy e l'impatto sulla privacy

Stando al documento della Homeland Security, i soli siti tenuti sotto stretta osservazione dalle varie organizzazioni sono MySpace, Facebook e Twitter e le uniche finalità perseguite dalle varie agenzie in questa attività di spionaggio sarebbero:

  • prevenire attacchi terroristici all'interno degli Stati Uniti;
  • ridurre la vulnerabilità degli Stati Uniti al terrorismo;
  • minimizzare i danni e assistere nel recupero in seguito ad attacchi terroristici che si verificano negli Stati Uniti.

Ora: già in partenza appare assai difficile immaginare come i tre social network sopra menzionati possano essere portatori di informazioni cruciali nella prevenzione di attacchi terroristici, a meno di non avere a che fare con attentatori davvero poco dotati d'intelligenza e buon senso. Da questo punto di vista, infatti, controllare gli status pubblici (unica attività che le varie agenzie ammettono di praticare) equivale a controllare le strade in cerca di volantini e manifesti che annunciano un attacco terroristico.

Eh sì, perché -stando a quanto dichiarato dal dipartimento della Homeland Security- le agenzie accedono quotidianamente soltanto ai contenuti pubblici postati da utenti "noti" (politici, giornalisti, personalità esplicitamente coinvolte in organizzazioni terroristiche) e al solo fine di "fornire conoscenza riguardo la situazione e stabilire un comune quadro operativo. Il National Operation Centre valuta le informazioni rilevate allo scopo di assistere i soggetti chiamati a prendere decisioni". L'organizzazione, insomma, assicura di occuparsi esclusivamente di quelle che chiama PII (Personal Identifiable Informations), ovvero delle informazioni utili a identificare, contattare o localizzare una data persona, e di classificarle sono quando si rivelano utili per "conferire credibilità al rapporto o facilitare il coordinamento con le autorità federali, statali, locali, con i partner di governo del territorio, stranieri o internazionali".

Ciononostante, all'interno del Congresso degli Stati Uniti, sono in molti a non credere che le attività connesse ai social network degli enti facenti capo al Dipartimento della Homeland Security siano innocenti. Del resto è notorio come le agenzie governative si contraddistinguano per un operato che, spesso e volentieri, si esprime al di sopra della legge e in barba a qualunque regolamento. La principale preoccupazione di alcuni membri del congresso, però, sembra essere quella che i vari reparti speciali addetti ai social media siano principalmente alla ricerca di posizioni critiche riguardo le agenzie governative il che -ovviamente- viene fortemente negato dai vertici del DHS.

Conclusioni

Passando dall'iperbole alla realtà abbiamo voluto evidenziare con ironia come, da un lato, l'immaginario collettivo non abbia ancora colto a pieno il cambiamento in corso nel mondo dello spionaggio (che va radicalmente modificandosi in seguito all'avvento dei social network),  e dall'altro come l'incapacità di star dietro ai cambiamenti non sia soltanto "iconografica", ma anche legislativa. Il cambiamento di paradigma che i social media stanno introducendo a tutti i livelli della società sta creando zone d'ombre in cui la legge non riesce o non vuole esprimersi con sufficiente efficacia.

Ad oggi, l'unica preoccupazione dei governi sembra essere il copyright, la protezione di diritti commerciali (prima ancora che intellettuali), lo stop alla "pirateria", il controllo dell'informazione indipendente,  mentre restano indifferenti e in inebetita contemplazione davanti a fenomeni molto più problematici quali la limitazione delle libertà personali e il diritto alla riservatezza.

Ovviamente non vogliamo giocare a fare gli ingenui, sappiamo benissimo quali interessi muovano i governi e perché essi si dedichino così tanto alla protezione dei diritti commerciali e così poco alla difesa delle libertà personali, ma evidenziare -ancora una volta- paradossi del genere è il minimo che si possa fare.

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