Fondo Italiano di Investimento e Start up: il matrimonio è ormai prossimo
Il Fondo Italiano di Investimento ha deciso di sottoporre alla Banca d'Italia modifiche al regolamentano che consentano alla società di iniziare a investire anche in start up. Fino a oggi, infatti, il Fondo aveva la possibilità di investire esclusivamente in aziende che avessero già fatturato un minimo di dieci milioni di euro (e un massimo di cento milioni); regola che -nella pratica- escludeva pressoché tutte le aziende in fase di start up.
Il Fii è una società di gestione e risparmio nata nel 2010 allo scopo di investire capitale di rischio all'interno di piccole e medie impresa (con eccezione della realtà finanziarie e immobiliari), ambito nel quale Marco Vitale, presidente del Fondo, non esita a rilevare il difetto tutto italiano di anteporre gli interessi familiari a quelli aziendali. E forse proprio alla luce di considerazioni come questa che il Fondo ha deciso, oggi, di affrontare e tentare di risolvere un altro dilemma tutto italiano, ovvero il terrore dell'investimento in realtà non consolidate. La novità non è un concetto ben visto dalla maggior parte degli investitori nostrani, i quali -in antitesi con la loro stessa natura– preferiscono rischiare il meno possibile.
O -almeno- questo è quel che abbiamo avuto modo di constatare fino a oggi. Tanto che, proprio nelle ultime settimane, vi abbiamo mostrato come l'Italia si sia piazzita -ancora una volta, drammaticamente- agli ultimi posti in Europa per quota di investimenti venture capital pro capite.
Ma, a quanto pare, qualcosa si muove nel cuore degli investitori del Bel Paese, tanto che il presidente del Fondo -Marco Vitale- nell'analizzare il primo anno di attività del fondo, ha dichiarato al Sole 24 Ore: "In questo primo anno abbiamo dovuto rinunciare a proposte di investimento in star up molto interessanti. Ci siamo resi conto che nel Paese c'è un dinamismo nell'avvio di nuove imprese che dieci anni fa non c'era". E una volta constatata l'esistenza di questa vivacità imprenditoriale, Vitale e i suoi non se la sono sentita di lasciare che tutto questo entusiasmo si riversasse necessariamente altrove al fine di trovare soddisfazione o che, peggio, si spegnesse nell'indifferenza.
Ecco perché il Fondo Italiano di Investimento (che vede la partecipazione del Ministero dell'Economia e delle Finanze, della Cassa Depositi e Prestiti S.p.A, dell'Associazione Bancaria Italiana, della Confederazione Generale dell'Industria Italiana, dell'Intesa Sanpaolo S.p.A., della MPS Investments S.p.A. e dell'UniCredit S.p.A., tutti con un proprio 14.3%) ha deciso di far approvare al proprio consiglio di amministrazione le modifiche regolamentari necessarie affinché il Fondo potesse investire anche in start up.
Certo, l'investimento non potrà superare i 50 milioni di euro che -come fa notare il Sole 24 Ore- sono ben poca cosa rispetto al miliardo e duecento milioni di dotazione iniziale, e lo sono ancor di più se si considera il genere di impegno economico che alcune start up richiedono per andare pienamente a regime, ma intanto qualcosa si muove e -come si suol dire- sempre meglio di niente.
Il Fii, in questi primo periodo di attività, ha già speso quattrocentodiciassette milioni di euro, ovvero il 38% del capitale iniziale, e l'impegno è quello di impegnare per intero la dotazione iniziale entro i primi tre anni di attività.
Insomma, qualcuno comincia ad accorgersi che esiste il venture capitalism, che esistono le start up e che sarebbe ora di scommettere sulle vie nuove invece di continuare a battere le vecchie. Talvolta, seguire pedissequamente i principi di cautela e minimo rischio non paga. Oggi meno che mai.