Gli azionisti Apple si spazientiscono: “vogliamo i dividendi”
Chiariamo subito una cosa: non si faccia l'errore di credere che la richiesta degli investitori Apple di ricevere i dividendi abbia qualcosa a che fare con il triste riproporsi della malattia di Steve Jobs. L'unico collegamento con la faccenda, in realtà, potrebbe riguardare questioni di opportunismo e tempismo: con Jobs fuori dai giochi gli investitori hanno qualche, seppur minima, probabilità che Cupertino si preoccupi di ascoltare le loro ragioni e di accettare una richiesta che, ormai, si ripropone ad ogni pubblicizzazione dei rendiconti. E così, in seguito alla trimestrale di ieri sera, in cui Apple ha sciorinato dati di vendita e numeri sensazionali, gli investitori sono tornati all'attacco. Per la serie: ok, bravi bravissimi, ora dateci i nostri soldi.
Quello che gli azionisti Apple continuano a non capire è perché l'azienda, che pure ha in cassa 50 miliardi di dollari che sembrano destinanti a diventare 70 entro la fine dell'anno, si ostini a non voler corrispondere i dividendi, né, tanto meno, annuncia agli azionisti eventuali progetti di investimento. Insomma, i soldi solo lì, fermi, infruttuosi, e nessuno si preoccupa di spiegare agli investitori il perché.
Il più accanito tra gli azionisti è Christopher Bonavico, esperto di investimenti finanziari che possiede azioni Apple per un valore che si aggira intorno ai 700 milioni di dollari. Bonavico esprime immensa stima ed apprezzamento per l'operato della compagnia di Cupertino, ma proprio non riesce a capire come mai questa si rifiuti costantemente di ripartire i dividendi "Apple sta distruggendo il proprio valore. Amiamo la strategia sul prodotto. Tuttavia, stanno lasciando sul tavolo un'enorme quantità di denaro dovuto alla grande liquidità in bilancio al di sotto del loro costo di capitale. Il denaro che hanno a disposizione non sta facendo guadagnare nulla". Con queste parole Bonavico attacca Apple dalle pagine del Wall Street Journal ed anche il quotidiano economico statunitense è costretto ad ammettere che, in effetti, né Steve Jobs né gli altri executive della compagnia hanno mai voluto (o saputo) essere chiari in merito al perché desiderino tenere nell'immobilità una quantità di denaro che supera il prodotto interno lordo di due terzi dei paesi del mondo. Jobs, infatti, ha sempre fornito solo vaghissime spiegazioni circa "possibili acquisizioni" e a proposito della "necessità di restare flessibili e conservativi".
A quanto pare, inoltre, anche Tim Cook ha tutta l'intenzione di jobsizzarsi, tanto che, ad una specifica domanda sulle future intenzioni di Apple ha risposto: "Questo è parte della magia di Apple. Non voglio che qualcuno conosca la magia, perché desidero che nessuno la copi". Ma fino a quando si può chiedere agli azionisti, che pure stanno intascando cospicue somme grazie a questa strategia, di rinunciare a parte dei loro soldi sulla fiducia? A qualcuno il discorso di Bonavico & Co potrà sembrare ingrato, ma se il conservazionismo di Jobs è più che giustificabile in un'ottica cautelativa, specie in tempo di crisi, non si spiega come mai Cupertino si ostini a non voler condividere con i suoi investitori i progetti per il futuro. In molti, ad esempio, vedrebbero di buon occhio l'acquisizione di Netflix, principale distributore di film e serie televisive degli USA, che potrebbe tornare utile per rimpinguare notevolmente l’offerta su iTunes Store.
La verità, però, appartiene molto più all'universo filosofico-esistenziale che a quello economico-finanziario, secondo P.E. DeWitt, giornalista di Fortune, Steve Jobs "tratta i soldi dell’azienda come uno che è quasi morto di fame tratterebbe i viveri in dispensa – qualcosa che potrebbe sparire da un momento all'altro". Ora, al di là del poco tacco mostrato da DeWitt nel dare del "quasi morto" a qualcuno che è quasi morto davvero, bisogna ammettere che giornalista statunitense dice una grande verità: non possiamo dimenticare che nel 1996 la Apple è stata sull'orlo del baratro, a un passo dal fallimento, e che nel 2009 è arrivata la peggior crisi economica che la storia ricordi dopo quella del 1929. E' proprio grazie all'atteggiamento "da sopravvissuto" di Steve Jobs che la compagnia è ancora in piedi. Ecco perché, forse, l'unico errore della compagnia di Cupertino sta nel non condividere questa legittima e umana preoccupazione con i suoi soci per poi, magari, cedere anche solo una piccola percentuale del patrimonio in cassa, tanto per provare che se i soldi vengono tenuti "a marcire nell'immobilità", non è per avidità o incompetenza, ma perché l'esperienza l'ha educata alla prudenza. E poi, se dovesse venir fuori qualche aitante e promettente start-up, non sarebbe male poterla comprare in contanti, senza dover chiedere prestiti agli istituti di credito.
In un mondo in ginocchio dal punto di vista economico, quante altre aziende potrebbero permettersi tanto?