Google batte Mediaset, nessun controllo preventivo dei provider sui contenuti ospitati
La guerra di Mediaset contro la rete per la questione dei diritti d'autore non conosce sosta. Che il gruppo televisivo non sia un grande amico di internet è un qualcosa che è risaputo da tempo, da quando Confalonieri in persona affermò che il web “derubava contenuti dalla tv”. Da allora è stato un continuo entrare e uscire dalle aule dei tribunali, ma la maggior parte delle volte i legali di Mediaset sono dovuto tornare a casa incassando una sonora sconfitta.
L'ultima in ordine cronologico è accaduta pochi giorni fa in un contenzioso aperto conto Google. Secondo Mediaset alcuni blogger ospitati nella galassia di servizi offerti da BigG avrebbero illegalmente trasmesso in streaming contenuti (presumibilmente sportivi) coperti da copyright e normalmente venduti a pagamento. Fin qui in effetti il Biscione potrebbe lamentare un dolo reale, anche se Google da tempo è al lavoro su sistemi sempre più sofisticati per prevenire qualsiasi illecito sulle proprie piattaforme. Il problema nasce però dall'assurda richiesta avanzata dal gruppo televisivo, ovvero che Mountain View effettui un controllo preventivo sui contenuti presenti nel proprio network, al fine di evitare in anticipo eventuali reati.
Ora, che la legislazione italiana in materia di rete e diritti d'autore sia nebulosa, poco definita e soprattutto arretrata è un qualcosa di innegabile. Ma soprattutto in casi come quello di Google, un gruppo che fornisce centinaia di servizi a milioni di persone, che ospita e indicizza miliardi di pagine, pretendere un controllo preventivo su tutti i contenuti pubblicati sarebbe qualcosa di improbabile, degno di Minority Report.
Laddove finisce il problema pratico poi, sopraggiunge quello etico; filtrare e censurare i contenuti contravviene al principio comunitario sulla libera manifestazione e comunicazione del pensiero. In poche parole è tecnicamente impossibile farlo e anche eticamente. Con questa motivazione il tribunale di Roma ha respinto la richiesta di Mediaset, creando un precedente di non poca importanza. In parole povere si ribadisce la supremazia della libertà di informazione rispetto alla tutela del diritto d'autore.
Questo principio fortunatamente sta prendendo sempre più piede nelle sentenze dei tribunali italiani (mentre il legislatore continua pedissequamente ad ignorarle) e proprio il gruppo della famiglia Berlusconi ne ha più volte fatto le spese. Basti ricordare cause come quella aperta contro l'UNC, reo di aver pubblicato sul proprio canale YouTube una intervista che il presidente dell'associazione aveva fatto durante la trasmissione delle Iene.
Pur non essendoci alcun guadagno da parte dell'organizzazione dei consumatori (e pur essendo il presidente in persona ospite del format) Mediaset minacciò azioni legali contro il portale di videosharing per violazione di copyright. La reazione di YouTube fu ancora più grottesca, con la rimozione di tutto il canale dell'UNC, compresi video autoprodotti e perfettamente legali. Dopo qualche settimana un ricorso al Tar di Roma da parte dell'organizzazione fece fare al portale video di Google marcia indietro.
Altre volte invece Mediaset è riuscita ad affermare il proprio principio come nella causa contro Yahoo!, condannata a pagare ben 250 euro per ogni contenuto illegale presente sulla propria piattaforma video. Il gigante di Sunnyvale è tutt'altro che intenzionato a pagare e sicuramente la causa continuerà, ma il primo tempo di quest'ennesima querelle giudiziaria ha visto il gruppo televisivo vittorioso.
Con il fiorire delle webtv e dei portali di condivisione video, che in un futuro presumibilmente copriranno quasi l'intero spettro dell'entertainment domestico, questo tipo di questioni giudiziari si sta facendo sempre più frequente e le sentenze a volte contraddittorie rischiano di rendere il quadro ancora più confuso. C'è una sola soluzione al problema, ovvero che il legislatore decida finalmente che il nostro paese si munisca di una normativa che contempli la rete e tutti i nuovi media, in pratica che sia adeguata alla società che si è formata e e ai suoi sviluppi nei prossimi anni. Per non rimanere ibernati per sempre nell'”era di Gogol”.