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Google e l’epopea Antitrust, BigG segna il primo punto

L’Antitrust assedia Google. Sia in Europa che negli States non c’è pace per il colosso di Mountain View che, negli anni, ha allargato a dismisura la sua area di influenza e sono in molti, ormai, a considerarlo “troppo grande”. Ciononostante, Google segna una prima (piccola) vittoria in materia di antitrust.
A cura di Anna Coluccino
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Che Google sia un colosso avvezzo allo sconfinamento è poco ma sicuro. Sempre più spesso, e in barba al celebre motto Don't be evil, Mountain View tenta di aggirare le regole imponendo la propria supremazia senza nessuna attenzione allo strabordamento di una posizione sul mercato che, sempre più, va configurandosi come dominante, quasi monopolistica, cosa che -in un'economia di stampo capitalista- è teoricamente intollerabile: pena il collasso dell'intero sistema. Ecco perché non stupisce che sia gli USA che l'Europa stiano indagando, a vario titolo e per le più disparate ragioni, la Google Inc. per abuso di posizione dominante, ovvero per aver approfittato del proprio peso all'interno del mercato economico per aggirare le regole dell'antitrust, ostacolare i competitors e ampliare la sua zona di influenza.

Ciononostante, pare che non tutte le accuse rivolte all'indirizzo di Google abbiano fondamento. Oggi, infatti, è una giornata buona per la compagnia di Mountain View. BigG ha messo a segno una piccola ma importante vittoria in materia di antitrust, e lo ha fatto nel corso di uno dei processi che hanno luogo in territorio statunitense. Il contenzioso riguardava l'accusa di concorrenza sleale da parte di TradeComet.com. Secondo il querelante, Google avrebbe manipolato l'algoritmo del motore di ricerca al fine di abbassare il ranking di TradeComet.com e far fuori -così- un pericoloso concorrente.

Nonostante la "piccolezza" del contenzioso, (come segnalato dal Wall Street Journal) è possibile intravedere -in controluce- i giochi di potere dei grandi colossi informatici. Basti notare che l'avvocato del querelante è nientepopodimenoche Charles “Rick” Rule, vale a dire l'ex consulente della Microsoft in materia di antitrust. Ora, sebbene BigM abbia negato qualunque genere di coinvolgimento nella causa in oggetto, il dubbio che dietro il tentativo di screditare Google ci possa essere lo zampino -seppur lieve- di Microsoft resta.

La causa TradeComet VS Google è stata discussa in California e, nel corso del primo tempo svoltosi nel marzo del 2010, la corte distrettuale aveva già respinto le accuse per mancanza di prove, ma il sito newyorkese aveva ritenuto opportuno far ricorso in appello. Oggi si chiude il secondo capitolo della vicenda con una nuova vittoria da parte di BigG.

Al momento, non è ancora chiaro se la TradeComet deciderà di ricorrere alla Corte Suprema o se preferirà abbandonare il caso. Qualunque sia la decisione finale, però, vale la pena considerare che il risultato di questo processo influirà enormemente sull'altra causa in corso contro Google, quella intentata da myTriggers.com il cui rappresentante è sempre (manco a dirlo) Rick Rule.

Eppure, nonostante da un punto di vista meramente pratico la causa intentata dalla TradeComet si sia rivelata (almeno fin qui) una disfatta pressoché totale, le motivazioni della sentenza lasciano aperto un seppur lieve spiraglio. La corte d'appello, infatti, ha dichiarato che la sentenza di oggi va letta esclusivamente dal punto di vista "procedurale" e che, quindi, la sostanza delle accuse rivolte all'indirizzo di Google non viene messa in discussione.

Questo significa che, sebbene dal punto di vista strettamente normativo, BigG sia riuscita a muoversi al confine con la legalità, le accuse di concorrenza sleale e di violazione delle norme antitrust potrebbero non essere del tutto infondate.

Quale che sia la verità, resta da capire quanto margine di manovra resti agli accusatori di Google che, seppur mossi da istanze condivisibili e probabilmente giuste, potrebbero non trovarsi nella posizione di avanzare pretese per mancanza di prove.

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