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Google Suggest condannato per diffamazione

Google Suggest è stato denunciato e poi condannato dal tribunale di Milano per diffamazione. L’accusa proviene da un noto imprenditore finanziario secondo cui digitando il proprio nome e cognome, ad essi venivano associati suggerimenti del tipo “truffa” o “truffatore”.
A cura di Giovanna Di Troia
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Google Suggest, ovvero il completamento automatico o meglio ancora l’elenco di termini suggeriti che compare digitando una o più parole chiave all’interno del box del motore di ricerca della BigG, dovrà creare un filtro ad hoc per alcuni suggerimenti che potrebbero essere potenzialmente pericolosi.

Questa la sentenza del tribunale di Milano in seguito alla denuncia per diffamazione di un noto imprenditore finanziario secondo cui digitando il proprio nome e cognome, A.B., ad essi venivano associati suggerimenti del tipo “truffa” o “truffatore”.

Google ha controribattuto sostenendo che lo strumento in questione deve essere considerato come un semplice algoritmo che opera su basi statistiche, e non come un suggerimento soggettivo e quindi una valutazione personale da parte del gruppo. Ma tale tesi non ha convinto il giudice Maria Luisa Padova.

Quindi se secondo Google il servizio Suggest non “crea” associazioni terminologiche bensì le “rileva”, per il tribunale invece tale software “elabora” e la funzione di autosuggerimento non è neutra perché Google l'ha ideata in quel modo, e di conseguenza c’è la possibile accusa di corresponsabilità di illecito sottostante, in questo particolare caso si tratta appunto di diffamazione. Inoltre, secondo il tribunale i motori di ricerca sono sempre più assimilati a hosting provider, in quanto contengono un database di siti web, e finiscono col subire le stesse responsabilità: devono rimuovere qualcosa di sgradito non appena viene loro segnalato, "notice and take down". Comunque l’ordinanza completa è stata messa a disposizione da Carlo Piana sul blog “Law is freedom.”

Situazione analoga è accaduta in Francia lo scorso mese di settembre, dove con apposita sentenza è stato deciso che Google pagasse un’ammenda di 6700 euro per l’accusa di aver fatto automaticamente comparire le parole “stupratore” e “satanista” al fianco di un nome proprio.

Inoltre, la sentenza di Milano ha delle affinità con il caso Yahoo!, a cui il tribunale di Roma aveva imposto di rimuovere dai propri risultati i link a siti non ufficiali dove si scaricavano film illegalmente.

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