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Covid 19

Ho incontrato un positivo ma Immuni mi ha avvisato in ritardo

Il 7 luglio ho ricevuto la notifica di possibile esposizione al coronavirus. O meglio, per caso ho aperto Immuni e, solo in quel momento, l’app ha scoperto che quasi due settimane prima ho incontrato un utente COVID-19 positivo. Così è iniziato un calvario di quarantene mancate, medici che non conoscono Immuni e misurazioni imprecise.
A cura di Marco Paretti
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"Rilevata esposizione a rischio con una persona COVID-19 positiva". Ho letto il messaggio un paio di volte, ma non l'ho capito. Ho chiuso l'app, d'altronde l'avevo aperta solo per caso: in realtà stavo cercando quella dei messaggi nella mia caotica homepage dell'iPhone e, come a volte è accaduto negli ultimi mesi, ho aperto d'impulso l'applicazione di tracciamento quasi solo per il gusto di farlo. Solo per vedere la solita schermata che mi dice "Servizio attivo". L'ho aperta, poi l'ho richiusa. Questa volta, però, quasi inconsciamente mi sono reso conto che c'era qualcosa di diverso, una macchia strana che il mio cervello non ha elaborato ma ha registrato. Ho indugiato qualche istante sull'icona dell'app Immuni, poi l'ho riaperta. "Rilevata esposizione a rischio con una persona COVID-19 positiva". La scritta non è più una macchia: è un riquadro rosso fuoco nella parte alta dello schermo. Ho ricevuto la notifica di Immuni.

La notifica di Immuni

Sono stato vicino, così mi dice l'app, a un caso poi rivelatosi positivo al tampone per il coronavirus. Lo sono stato nei 14 giorni precedenti alla positività, elemento che potenzialmente mi mette a rischio di contagio. Ripenso alle mie serate, che ho provato a fare in sicurezza con amici: mascherina, tavoli isolati e all'esterno, mai negli assembramenti della movida. Evidentemente non è bastato. La notifica è lì e mi guarda. Mi faccio le prime domande: quando, come? Alla prima mi risponde direttamente Immuni: il 26 giugno. È l'unico dato che mi fornisce la schermata che si apre quando seleziono la notifica: la data in cui sono "stato vicino a un utente COVID-19 positivo" mi dice Immuni. Ci penso, ho lavorato tutto il giorno e la sera sono stato in pizzeria, anche in quel caso in un tavolo isolato, all'aperto. Attorno a me, a un metro di distanza, solamente due amici, che di certo non sono i casi indicati da Immuni. Poi ci penso meglio. Che giorno è oggi? Il 7 luglio. L'esposizione risale al 26 giugno. Sono praticamente già terminati i 14 giorni che avrei dovuto passare in quarantena. Com'è possibile?

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"È un errore mio, ho sbagliato a non aprire l'app, non ho visto la notifica quando mi è arrivata in push". Mi do subito la colpa, perché è evidente che insieme alla notifica all'interno dell'app ne deve essere arrivata una al mio telefono qualche giorno prima, messaggio che evidentemente non ho visto. Mi è sfuggito e ho rischiato di diventare un untore: negli ultimi giorni sono uscito, sempre senza fare la movida ma comunque incontrando altre persone. Mi incuriosisce sapere quanti giorni ho perso, così apro le impostazioni dell'iPhone: nella schermata dedicata a Immuni è possibile visualizzare la lista di tutti i match che il sistema prova a effettuare negli ultimi 14 giorni. Cioè tutte le volte che il codice di un utente trovato positivo viene inviato al server e poi al mio telefono – così come a tutti i telefoni con Immuni installata – che infine controlla se quel codice è già stato incontrato nelle due settimane precedenti. Ce ne sono una decina, ma tra questi c'è anche il mio positivo. 7 luglio alle 15:08, una corrispondenza. Ma come, sono ora le 15:08 del 7 luglio. Non ho sbagliato io, non sono io a non aver visto la notifica nei giorni precedenti. Perché quella notifica Immuni non me l'ha mai inviata. Perché Immuni ha scoperto dell'esposizione a rischio insieme a me, quando ho aperto l'app per caso.

Il match positivo
Il match positivo

Il ritardo

Non apro l'app da qualche giorno, forse da prima del 26 giugno o poco meno. Pensavo, però, che l'app funzionasse regolarmente non solamente per quanto riguarda la registrazione dei codici degli altri utenti – che si basa sul sistema di Apple e Google e, quindi, è sempre attiva – ma anche per quanto concerne il match tra questi codici. Perché se da un lato è vero che l'app chiede chiaramente di aprirla una volta al giorno per assicurarsi del suo funzionamento, dall'altro su Android è presente una voce che spiega che l'app sul sistema di Google potrebbe non funzionare sempre in background e si raccomanda di prestare particolare attenzione all'apertura quotidiana del software. Ma questo su iPhone non viene indicato. Quindi cosa è successo? Semplice, tra il 26 giugno e il 7 luglio una persona che ho incrociato quel venerdì è risultata positiva al coronavirus e lo ha comunicato al sistema, che ha poi inviato la chiave di questo utente a tutti gli smartphone con Immuni installata. Il Governo ha optato per un sistema decentralizzato e rispettoso della privacy, quindi il match tra positivo e utente incontrato non viene effettuato dal server ma dallo smartphone degli utenti, in questo caso il mio. C'è solo un problema: nel mio caso il match, cioè la corrispondenza con il codice del positivo e quelli incontrati dal mio telefono negli ultimi 14 giorni, è stata effettuata solamente quando ho aperto l'applicazione. Non posso sapere quanti giorni prima mi è stato inviato il codice dal server. So solo che mancano due giorni alla fine di quella che sarebbe dovuta essere la quarantena preventiva che avrei dovuto fare. E che avrei fatto, se avessi saputo della possibile esposizione.

La notifica di Immuni, con lo stesso orario del match
La notifica di Immuni, con lo stesso orario del match

La comunicazione con il medico

Invece l'ho scoperto tre giorni prima della fine dei 14 giorni e solamente perché ho aperto Immuni per puro caso. Anche qui: se la comunicazione sul funzionamento in background fosse stata più chiara, probabilmente mi sarei impegnato ad aprirla più spesso. Ora, invece, mi ritrovo nel mezzo di una quarantena che non sto facendo con un supposto contatto a rischio di cui siamo a conoscenza solo io e il mio telefono: il server – e quindi il Governo – non sa nulla. L'app, oltre agli ormai chiari consigli su distanza di sicurezza, igiene personale e relazione con gli altri, chiede di contattare il proprio medico curante; non è un obbligo di legge, ma io per dovere civico decido di farlo anche se ormai sono praticamente finiti i 14 giorni. D'altronde potrei essere asintomatico o presintomatico e la procedura prevede che io venga inserito nelle liste dell'ATS in attesa di un tampone, in quanto possibile caso a rischio. Chiamo il numero del mio medico di base, mi risponde la segreteria: "Sarò assente fino al 31 luglio". Bene. Ci sono due numeri della sua sostituta, li chiamo entrambi, entrambi sono occupati o staccati. Ormai si sono fatte le 17, riproverò domani. Ho già perso un giorno, ne mancano due alla fine della quarantena.

L'8 luglio chiamo nuovamente e finalmente parlo con la segretaria della dottoressa, che mi dà due possibilità: prendere appuntamento per lunedì o lasciare un messaggio in segreteria ed essere richiamato in giornata. "Ma dopodomani finirei la quarantena e comunque farmi visitare in presenza non credo sia l'ideale". Dubbi che la segretaria sbologna subito: "Mi dica lei, per me è uguale". Opto per il messaggio in segreteria, la scelta più sensata in questo momento di incertezza. Dopo tre ore mi richiama la dottoressa, con cui ho una conversazione che definire surreale è riduttivo.  "Ho ricevuto la notifica da Immuni" esordisco io. "E com'è la faccenda? Io non l'ho mica scaricata. Nessuno di noi l'ha scaricata perché no insomma" mi risponde lei. Passo i primi 5 minuti della chiamata a spiegarle come funziona l'app e a indicare quello che ho fatto il 26 giugno, per poi chiederle come devo comportarmi. "Signor Marco, faccia finta di averla aperta domenica prossima". Tradotto: non ho mai visto la notifica e non devo fare niente. "Quindi non devo fare il tampone?"

"Ma no!"

La seconda parte della notifica, con l'indicazione della data
La seconda parte della notifica, con l'indicazione della data

La rilevazione della distanza

Avanti veloce. Il 10 luglio finisce la mia quarantena, che ho deciso comunque di svolgere nonostante l'assenza di sintomi e la mia relativa sicurezza su quello che ho fatto il 26 giugno. Qui, però, si apre l'altro punto critico di Immuni: l'app ha registrato per forza di cose un contatto, altrimenti non mi avrebbe inviato la notifica. La teoria, almeno fino al lancio dell'app, prevedeva che per contatto ravvicinato si intendesse l'incontro tra due persone per più di 10 minuti a una distanza di un metro. Ora tutti i riferimenti sulla distanza sono però scomparsi dai documenti di Immuni e non è difficile capire perché: il Bluetooth Low Energy, la tecnologia utilizzata per misurare la distanza tra gli smartphone e, quindi, le persone, non è così preciso. Il dubbio mi viene pensando a quel venerdì 26 giugno: l'unico momento in cui sono stato fermo più di 2 minuti è quando mi sono seduto al tavolo della pizzeria, un tavolo isolato all'esterno del locale. Sono arrivato in moto da solo e subito dopo sono risalito in sella per tornare a casa. Dev'essere successo lì, ma non ho mai avuto nessuno a meno di un metro di distanza da me per più di qualche secondo. L'ipotesi, totalmente soggettiva, è che un commensale all'interno del locale sia in seguito risultato positivo. Ma tra me e lui non solo c'erano sicuramente più di due metri, ma anche la vetrina del locale.

Qui entra in gioco il Bluetooth Low Energy. In realtà mimare ciò che fa Immuni è semplice: basta installare un'applicazione – noi abbiamo usato BLE Test per Android – su due smartphone e osservare le misurazioni. L'app indica sia la potenza del segnale che i metri di distanza rilevati, cioè la stessa procedura che fa Immuni. I risultati sono tutto fuorché precisi e indicano distanze tra i 10 e i 71 metri quando ci si trova seduti a un metro di distanza, così come distanze tra i 5 e i 31 metri quando ci si distanzia a circa 8 metri. Per questo sono stati eliminati i riferimenti ai metri dai documenti dell'app. E per questo, probabilmente, nel mio caso è stato individuato un incontro con una persona che si trovava a più di un metro da me. Ma quindi Immuni come calcola quando inviare la notifica? Con un mix di elementi che vanno da questa registrazione traballante della distanza alla durata dell'incontro, passando per la data in cui una persona è risultata poi positiva. Il sistema usa questi dati per provare a ipotizzare un livello di rischio e, in seguito, inviare la notifica, come nel mio caso.

Una volta cliccato su questo pulsante, la notifica sparisce
Una volta cliccato su questo pulsante, la notifica sparisce

È un problema concreto, ma difficilmente risolvibile perché legato a una limitazione tecnica. L'output più problematico, in questo caso, è la nascita di troppi falsi positivi dovuti, come nel mio caso, a un incontro in realtà mai avvenuto. Un inconveniente che poi è il singolo medico – per lo meno quelli che sanno come funziona – a dover valutare decidendo se inserire o meno l'utente nelle liste dell'ATS, relegandolo alla quarantena in attesa del tampone. Ben più grave è il ritardo della notifica dell'app, un elemento non dovuto a un ritardo della segnalazione di positività della persona contagiata ma a un intoppo tecnico di Immuni che potrebbe caratterizzare tutte le persone che non aprono l'app ogni giorno. Con poche indicazioni in merito all'interno del software. Questo, unito ai numeri di download di certo non positivi – 4 milioni, definiti dallo stesso commissario Arcuri "un target non raggiunto" visto che si parlava di 36 milioni come cifra ottimale – rischiano di minare il funzionamento di uno strumento che in questo momento è l'unico in mano ai cittadini per provare a rallentare l'epidemia. Perché Immuni, nonostante i problemi, bisogna utilizzarla. Ma ricordatevi di aprirla.

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Giornalista dal 2002 specializzato in nuove tecnologie, intrattenimento digitale e social media, con esperienze nella cronaca, nella produzione cinematografica e nella conduzione radiofonica. Caposervizio Innovazione di Fanpage.it.
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