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“I social sono come le auto, qualcuno ci muore”: così il capo di Instagram difende l’app dai critici

Il social fotografico è finito sotto i riflettori per un rapporto interno nel quale se ne evidenzia l’impatto negativo su alcuni utenti tra giovani e giovanissimi. Il numero uno dell’app, Adam Mosseri, ha tentato di giustificare il tutto utilizzando un’analogia infelice con il fenomeno degli incidenti stradali connesso all’invenzione delle automobili.
A cura di Lorenzo Longhitano
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Nei giorni scorsi è emerso grazie al The Wall Street Journal un rapporto segreto di Facebook che raccontava come l'utilizzo del social fotografico Instagram potesse risultare tossico per ragazzi e ragazze adolescenti. Il reportage ha fatto rapidamente il giro delle testate di tutto il mondo anche perché, tra i possibili disturbi riconducibili almeno parzialmente all'uso intenso dell'app da parte degli utenti in giovane età, nel rapporto di Facebook figurano anche dismorfia, ansia e depressione e pensieri suicidi; interpellato sulla vicenda durante una intervista concessa a Recode, il numero uno di Instagram Adam Mosseri ha però tentato di sminuire la portata del documento paragonando i social all'invenzione dell'automobile, suggerendo cioè che un numero di persone dovrà inevitabilmente soffrirne le conseguenze, per gravi che possano essere.

I social come le auto: "Qualcuno ci muore"

Nella sua analogia in realtà Mosseri ha utilizzato parole anche più forti: "Sappiamo che a causa degli incidenti stradali muoiono più persone di quante non ne morirebbero se le auto non esistessero", ha dichiarato il numero uno di Instagram. "Eppure le auto creano più valore nel mondo di quanto non ne distruggano, e penso che per i social funzioni allo stesso modo". Eventuali morti, o eventuali ragazze e ragazzi influenzati negativamente dai modelli sociali e di bellezza imposti da Instagram, andrebbero dunque considerati come semplici vittime collaterali di un meccanismo – quello dei social – che in realtà crea valore.

Le contraddizioni di Instagram

Ci sono però numerosi aspetti che Mosseri ignora volutamente nel suo ragionamento. Il primo – come fanno notare numerosi osservatori online – è che l'industria automobilistica è pesantemente regolamentata proprio a causa del pericolo che l'utilizzo delle quattroruote costituisce per natura: le stesse cinture di sicurezza sono state introdotte per legge contro il volere delle case costruttrici. Il secondo è che nel mercato delle auto non esiste una figura con tanto potere quanto ne ha il gruppo Facebook: Instagram è frequentato abitualmente da 1 miliardo di persone e Facebook da 2,8 miliardi, e non ci sono piattaforme che possano offrire modelli alternativi sperando di avere altrettante influenza sul pubblico globale.

Il terzo aspetto è che quel valore creato dai social e citato da Mosseri come giustificazione per la sofferenza psicologica di ragazzi e ragazze non arriva solo dal mercato degli influencer e delle attività commerciali, ma viene incamerato dallo stesso gruppo Facebook e ha una dimensione precisa: 29 miliardi di dollari in soli 6 mesi – in crescita del 56 percento rispetto all'anno scorso. Le parole esatte di Mosseri insomma possono essere considerate come uno scivolone, ma rivelano un modo ben chiaro di considerare il fenomeno che sta facendo discutere gli utenti e gli osservatori online.

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