Nell'eterno (e inutile) dibattito che da anni coinvolge Apple, Google e le altre realtà che si contendono il settore tecnologico, spesso si è perso di vista uno degli elementi che nel tempo hanno garantito all'azienda di Cupertino di raggiungere le dimensioni e la presenza che oggi è impossibile ignorare: quando Apple decide di fare qualcosa, la fa nella maniera più diretta possibile. La fa a modo suo e, spesso, la fa meglio degli altri. Non stiamo parlando solo di telefoni, tablet e PC, ma di ciò che è nascosto dentro, sia a livello hardware che software. Per Apple è sempre stato così, da quando serviva un modulo WiFi per il primo iPhone piccolo ed efficiente e nessuno (se non la stessa Apple) è stato in grado di produrlo, alle ultime soluzioni software pensate per rendere iOS più performante. Non vederlo significa non aver capito qual è la vera forza di Apple, che ieri, durante una conferenza da molti additata come povera di annunci, ha in realtà dichiarato guerra a mezzo settore.
Da Samsung a Google, passando per Facebook e diverse app che oggi rappresentano delle vere e proprie superstar all'interno dell'App Store; sul palco della conferenza che ha dato il via alla WWDC 2018 abbiamo assistito ad un incredibile show di potenza software da parte della mela, che, va ricordato, proprio sul suo sistema ha sempre puntato tutto fin dalla leggendaria lotta contro Microsoft. E non si tratta di rincorrere o copiare – fermarsi a questa lettura sarebbe estremamente limitato – ma di prendere un'idea e svilupparla, integrandola all'interno di un sistema che si sta facendo sempre più complesso e automatizzato e facendo risplendere ancora una volta il fondamentale concetto di software che ieri sera Apple ha sottolineato più e più volte.
Basti pensare alla gestione del rullino fotografico, ora in grado di analizzare ancora più nel dettaglio le immagini per individuare situazioni ed eventi, consigliando le fotografie da condividere con gli amici e proponendo una sezione "Per te" con suggerimenti e sguardi al passato (una funzione simile all'Accadde Oggi di Facebook). In breve, Apple è andata all in su Google Foto, che da tempo propone una gestione simile anche legata alla ricerca di determinate immagini, che pure su iOS ora si potranno individuare utilizzando delle parole chiave. Ma non solo, perché una delle funzioni più chiacchierate di iOS 12, cioè la gestione del tempo passato all'interno delle app con la possibilità di impostare dei limiti di utilizzo, è una delle funzioni più sbandierate di Android P, il prossimo aggiornamento del sistema operativo di Google.
Ma il vero schiaffo clamoroso è arrivato nei confronti di Samsung: dopo mesi di ironia da parte dell'azienda sudcoreana sulle Animoji della mela e dopo aver sbandierato le sue AR Emoji personalizzate, Apple ha annunciato una sua variante delle Animoji, le Memoji, che, semplicemente, risultano all'istante più gradevoli – soprattutto per un pubblico occidentale – di quelle di Samsung, anche perché è possibile utilizzarle in più modi sovrapponendole, per esempio, al proprio volto nei video da condividere. E il riconoscimento della lingua, che diverse aziende cinesi avevano sbandierato nelle loro varianti, ora c'è anche per le Animoji. Si tratta ovviamente di funzionalità di contorno, ma che ben indicano la volontà di Apple di non cedere terreno su nulla. Nemmeno sulle emoji animate.
Ma la "dichiarazione di guerra" ha coinvolto anche una serie di applicazioni che negli ultimi anni hanno scalato la classifica dell'App Store e che ora saranno probabilmente cannibalizzate dalle proposte di Cupertino. Non è di certo una novità: quando un'applicazione funziona, spesso viene inglobata all'interno del sistema che la ospita. Basti pensare alla paradossale situazione di Snapchat, che ormai presenta funzioni poi riproposte da Instagram a pochi giorni di distanza. Lo stesso ha fatto Apple con app come Measure, che propone un righello virtuale in realtà aumentata, come già ne esistono su App Store. Oppure con le videochiamate di gruppo, una proposta clamorosa che in molti non capiranno per un limite d'età: FaceTime è utilizzassimo dai giovanissimi per dialogare quotidianamente, ma spesso vengono utilizzate applicazioni terze per effettuare chiamate di gruppo. Integrare questa funzione in FaceTime – peraltro con un limite massimo di 32 persone, che di certo non è casuale – significa distruggere in partenza tutte le altre proposte.
Come non parlare poi di IFTTT (If This Than That), l'unica app che probabilmente continuerà ad esistere perché multipiattaforma, ma che di certo subirà un bel contraccolpo su iOS. Si tratta di un'applicazione in grado di compiere azioni automatiche al presentarsi di determinate condizioni. Per esempio, accedere le luci smart quando si arriva a casa, oppure caricare le foto su Dropbox appena si scattano. Con le Scorciatoie e i Suggerimenti di Siri, Apple ha difetto presentato una sua versione di IFTTT che ovviamente gode di una maggiore integrazione nei sistemi dell'iPhone. Tanto che si potranno non solo impostare delle azioni automatiche a seconda di particolari situazioni, ma anche indicare delle frasi personalizzate da dire a Siri quando si vuole compiere un'azione. Con un'integrazione di questo tipo è difficile trovare spazio per IFTTT, se non negli utenti con più piattaforme e focalizzati ai servizi web, dove l'app continua comunque ad avere il suo focus a differenza delle Scorciatoie di Siri maggiormente concentrate sulle app.
La questione in cui invece Apple ha puntato i piedi per terra è stata quella della privacy, dove la mela ha lanciato una chiara frecciata contro Facebook e la sua gestione dello scandalo di Cambridge Analytica. Forse non tutti sanno che i pulsanti social posizionati in molte pagine web (i classici Mi piace e Condividi), così come le sezioni commenti basate sul sistema di Facebook, consentono al social di Zuckerberg (ma non solo) di "seguire" gli utenti per il web, anche se non interagiscono con questi elementi grafici. Durante la presentazione di macOS Mojave è stata annunciata una nuova funzione di Safari che bloccherà completamente questo tracciamento, che diventerà opzionale per tutti gli utenti. Come? Attraverso un pop up di consenso. La frecciata è arrivata proprio attraverso questo elemento, che sul palco è stato mostrato in riferimento a Facebook: "Facebook.com vuole accedere ai tuoi dati, vuoi consentirlo?" si leggeva. D'altronde sulla questione privacy i due colossi si sono scontrati indirettamente nel corso delle ultime settimane, dopo che Tim Cook aveva chiaramente spiegato che lui non si sarebbe mai trovato nella situazione di Mark Zuckerberg.
Da questa tabula rasa generale, però, emerge un inaspettato quanto ricorrente alleato. Tra gli annunci del keynote di ieri, uno di quelli passati in sordina è l'arrivo della suite Office – e quindi Word, Excel, etc – sull'App Store per Mac. Ora, può sembrare scontato che nel 2018 i programmi di editing di testo arrivino finalmente all'interno del negozio digitale di Apple e, in effetti, lo è, anche considerando che da tempo sono disponibili sia per Mac che su App Store iPad e iPhone. Ma il fatto che questi software approdino all'interno dell'App Store apre la questione ad una riflessione inevitabile: generalmente Apple si tiene il 30 percento dei ricavi di tutte le applicazioni vendute attraverso il suo store digitale, una fetta che difficilmente Microsoft concederà alla mela per i suoi prodotti principali. È invece probabile che tra le due aziende ci sia stato un accordo speciale per ridurre questa percentuale. Per tutti gli altri, invece, è stata terra bruciata.