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Il 2016 è stato l’anno della vita in diretta

Un tempo era “Io c’ero”, ora è “Io ci sono”. Il 2016 è stato l’anno dell’esplosione dei video in diretta, del flusso costante e senza ritardi di tutto quello che ci accade. Nel bene e nel male.
A cura di Marco Paretti
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Un tempo era "Io c'ero". Nelle foto, nei video, nei post. Io lì c'ero, ho fatto questo e quell'altro, ho visto questa gente, ho fatto queste cose. Guardate, ho le prove. Ho le foto, i video, i ricordi. Poi qualcosa è cambiato ed esserci stati non bastava più, bisognava esserci nel momento. Twitter ha cominciato a lasciar intendere qualcosa del genere, ma non è mai riuscito a colpire la massa. Non quanto Snapchat, non quanto le dirette sui social. Il 2016 è stato l'anno dell'esplosione della vita in streaming, del flusso costante e senza ritardi di tutto quello che ci accade. Dell'Io ci sono che prende il posto dell'Io c'ero. Anche per contrastare un senso di solitudine che spesso vede i social come una cura.

Eccomi, sono qui, in diretta, senza filtri. Questa è una prova buffa. Questo è il mio ragazzo che muore sul sedile del passeggero della mia auto. Questo è un uomo che si arrampica su un grattacielo. Ora, qui, in diretta. Poco importa se sotto forma di streaming, di immagine o di video: l'importante è condividere subito, farlo senza ritardi né differite. In questo Snapchat ha ricoperto un ruolo rivoluzionario nella sua visione atipica della "diretta", perché ha basato tutta la sua esistenza sui contenuti immediati, elementi da registrare attraverso l'app e non procrastinabili: una foto o un'immagine va condivisa ora o mai. E quando ha dato la possibilità di pubblicare elementi vecchi, lo ha fatto marchiandoli in modo tale da renderli riconoscibili istantaneamente. In modo da far sapere a tutti che quell'elemento non appartiene al presente, ma ad un passato che al web ormai interessa poco e niente.

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Le prime ad arrivare sono state le dirette video. Meerkat è stata un'applicazione pionieristica, quasi rivoluzionaria. Negli Usa ha sollevato un polverone, qui in Italia l'entusiasmo è stato decisamente minore. Ma d'altronde a questo siamo abituati. Il vaso di Pandora, però, era stato aperto: poco dopo è arrivata Periscope, la proposta di Twitter che ha portato le dirette in streaming su un nuovo livello. Siamo ancora nel 2015, agli albori della condivisione dal vivo. Verso la fine dell'anno Facebook lancia le dirette in tutti i paesi, dando inizio ad un fenomeno che ha modificato radicalmente il metodo di fruizione dei video. E sollevato grandi questioni etiche.

Dopo un anno si può dire: lo streaming video su Facebook non è stato un successo. L'utilizzo è ancora relativamente basso, i contenuti scarseggiano e le dirette più viste appartengono per lo più ai grandi network che possono fregiarsi di una base d'utenza enorme. Nonostante questo, l'avvento delle dirette ha sollevato enormi problematiche etiche. "È un grande cambiamento nel modo in cui comunichiamo" aveva scritto Zuckerberg al lancio della funzionalità. "Creerà nuove opportunità di connessione tra le persone". Un ottimismo che ha dovuto cedere il passo alla realtà dei fatti: tra dirette inutili, comiche o d'intrattenimento, quelle che hanno fatto discutere di più sono quelle che hanno riportato in diretta fatti violenti.

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L'uccisione di un giovane ragazzo di colore alla guida, per esempio, o la sparatoria a Dallas che ha portato all'uccisione di cinque poliziotti. Tutti eventi trasmessi in diretta su Facebook che hanno sollevato diverse domande lecite. Aumentare la visibilità della violenza porta ad una maggiore giustizia per le vittime di quella violenza? Il video in sé costituisce una forma di "risarcimento"? Il consumo di questi contenuti sensibilizza l'utenza o crea soltanto un perverso senso di voyeurismo? In breve: questi video dovrebbero essere prodotti e trasmessi? Nel caso dell'omicidio di Philando Castile, il ragazzo ucciso da un poliziotto nella sua auto senza motivo, la trasmissione in diretta della sua ragazza ha probabilmente portato ad un'altrimenti impossibile condanna del poliziotto. In altri casi, come i suicidi in diretta o le rivendicazioni terroristiche, l'avvento degli streaming ha imposto una risposta sempre più rapida del social network.

"Dobbiamo agire il più presto possibile, preferibilmente quando sono ancora in diretta" ha spiegato un dipendente anonimo. Proposito che funziona sulla carta, ma non nella realtà visto che con i normali video Facebook impiega circa 24 ore per moderare un singolo contenuto. Un tempo infinito se si pensa all'immediatezza delle dirette, che proprio in virtù della loro natura possono diventare virali in brevissimo tempo. Non è nemmeno detto che poi un contenuto venga eliminato: spesso, come sottolinea Facebook, i video violenti vengono pubblicati per contestare la violenza e non per supportarla. Ciò che può fare il social network in questi casi è apporre un avviso che indichi la tipologia di contenuti "crudi", di certo non censurarli. In questo modo si è venuta a creare una sorta di ideologia della trasparenza radicale, dove ogni elemento deve essere trasmesso in diretta, senza filtri e senza tagli né censure. Un approccio che ha portato ad una maggiore visibilità di tematiche sensibili – come appunto nel caso di Castile – ma che non tiene conto degli utenti facilmente impressionabili o traumatizzati in precedenza.

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Il cambiamento nella condivisione dei contenuti all'interno dei social network ha peraltro generato un cambiamento parallelo nel modo in cui i media tradizionali propongono questa tipologia di elementi. La perdita di valore delle norme civili sul web e l'invasione delle immagini senza filtri nella cultura mainstream hanno portato la quasi totalità di giornali e televisioni a mostrarle senza più riserve. Basta un avviso di due secondi prima del video. Allo stesso tempo l'avvento delle dirette è giustificabile anche da quel senso di "rabbia" che nel 2016 ha portato a così tanti colpi bassi all'establishment. Un panorama nel quale una notizia non ha più bisogno di piattaforme esterne per diventare virale, nel quale i giornali sono diventati solo uno lento specchio che prova a rincorrere gli infiniti "Io ci sono". Non è un caso che molti media abbiano subito abbracciato la possibilità di effettuare dirette sui propri canali social.

La fuga dai canali tradizionali è anche quella che ha portato al successo di Snapchat tra i più giovani, da sempre la fascia d'utenza più sfuggevole e difficile da imbrigliare all'interno di quattro mura digitali. L'applicazione di Evan Spiegel ci è riuscita puntando tutto sugli elementi cari ai millennials: l'immediatezza, la condivisione estrema e la volatilità dei contenuti. Lo ha fatto puntando sulla condivisione "in diretta" all'interno di un'applicazione che sulla carta non ha motivo di esistere. Se i contenuti spariscono nel giro di pochi secondi o di poche ore, come può diventare un prodotto sostenibile? Eppure, a differenza di realtà presenti da diversi anni come Twitter, Snapchat è riuscita non solo a creare un bacino d'utenza enorme, ma anche a renderlo monetizzabile.

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In questo ha giocato un ruolo fondamentale un elemento che Facebook, al di là dei contenuti sopracitati naturalmente virali, ha faticato a comprendere: la Fear of Missing Out, la paura di perdersi qualcosa. Snapchat ha unito il suo bacino d'utenza estremamente giovane con una delle paure più grandi dei ragazzi di oggi: quella di rimanere indietro, di perdersi un aspetto della giornata del proprio amico che non potrà più recuperare. Snapchat viene aperto non solo perché si vuole condividere, ma anche e soprattutto perché si vuole avere uno sguardo irripetibile sulla vita degli altri. Le dirette su Facebook saranno sempre disponibili, gli Snap no. Non è un caso che l'azienda di Zuckerberg si sia lanciata in quello che a tutti gli effetti è un processo di copia spudorata delle funzioni di Snapchat, ora integrate tra Instagram e Messenger.

È parte di quel senso di voyeurismo che noi stessi abbiamo contribuito a creare con le nostre dirette e con il cambiamento da "Io c'ero" a "Io ci sono". Ma fattore ancora più indicativo è che il 2016 abbia portato con sé questo importante cambiamento nonostante il fallimento delle dirette, sia su Facebook che su Meerkat e su Periscope. L'unica a resistere è Snapchat, ma il trend è pronto ad essere raccolto da chiunque riesca a trovare la chiave giusta per proporre uno strumento di condivisione che sia lo specchio dei tempi in cui viviamo. Dove non esistano censure, differite o trucchi. Dove tutto sia riassumibile in una frase: Eccomi, sono qui. In diretta.

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Giornalista dal 2002 specializzato in nuove tecnologie, intrattenimento digitale e social media, con esperienze nella cronaca, nella produzione cinematografica e nella conduzione radiofonica. Caposervizio Innovazione di Fanpage.it.
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