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Il Big Bang di Renzi passa anche per l’innovazione: gli interventi di Luna e Quintarelli

Dal palcoscenico del “Big Bang”, evento organizzato dal sindaco di Firenze Matteo Renzi per indicare la via della pensione alla vecchia classe dirigente del Partito Democratico, intervengono anche Riccardo Luna e Stefano Quintarelli che concordano nell’affermare che qualunque cambiamento si voglia porre in essere debba partire dall’innovazione tecnologica.
A cura di Anna Coluccino
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renzi big bang leopolda

Il Big Bang ha avuto inizio. Lo scoppio è stato innescato da Matteo Renzi che, da diverso tempo ormai, si candida a rottamatore della politica "conservatrice" della sinistra, affermando che idee di sinistra possono trovare la propria realizzazione anche attraverso metodologie "nuove" rispetto a quelle utilizzate in passato e chiedendo alla classe dirigente dell'attuale PD di fare un passo indietro per lasciar passare lui: il nuovo che avanza. Rispetto a quanto siano "nuove" le idee invocate da Renzi molti hanno espresso la propria opinione in queste ore, ma il fatto che il sindaco di Firenze riceva di gran lunga più plausi da destra che da sinistra può significare solo due cose: o la sinistra è davvero intrisa di conservatorismo e repelle qualunque forma di cambiamento, o Renzi è davvero di destra.

Ma non è questa la sede per risolvere tale dicotomia.

A noi spetta il compito di render conto di due interventi di area tecnologica susseguitisi sul palco dell'evento indetto da Renzi per il weekend appena trascorso..

Dalla stazione Leopolda di Firenze, infatti, il sindaco di Firenze ha deciso di mettere insieme un evento antagonista dal cui palcoscenico cantarne quattro ai dinosauri del Partito Democratico.

Ma Renzi non si candida a diventare soltanto il meteorite che li estinguerà, aspira a essere anche l'esplosione che darà vita a una nuova Italia.

Insomma, qualunque sia la vostra opinione su Matteo Renzi, bisogna ammettere che certo non gli manca l'audacia e, come oggi commentava qualcuno, il piglio del primo della classe. E da bravo primo della classe, Renzi sa che senza innovazione tecnologica non si va da nessuna parte, che senza prospettive digitali la rivoluzione culturale rischia di ricoprirsi di muffa, di puzzare di vecchio, sa che occorre confrontarsi -qui e ora- con almeno tre ordini di problemi: digital divide, digital economy, open government. 

E allora ecco che chiama a rapporto due tra i più importanti esponenti della materia in oggetto, due guru della cultura digitale: Riccardo Luna e Stefano Quintarelli.

L'intervento di Luca è stato, come di consueto, chiaro, romantico e accorato, si è trattato di un invito all'azzeramento del digital divide, di una dichiarazione d'amore e di fiducia nella Rete e di un invito ai governi alla pratica dell'apertura digitale.

L'intervento di Quintarelli (di cui vi offriamo qui sotto la trascrizione integrale) si concentra essenzialmente sul tema dell'economia digitale e, dopo un brevissimo excursus storico, invita alla riflessione sui dati relativi alle prospettive di sviluppo economico legate ad Internet, come ad esempio il fatto che "Internet è il fattore che ha contribuito di più alla crescita del PIL italiano negli ultimi 4 anni, creando 700.000 posti di lavoro, prevalentemente per giovani, mentre i settori maturi li perdevano".

Vi invitiamo a leggerlo con attenzione.

Stefano Quintarelli, Intervento al Big Bang, Firenze, 29 ottobre 2011

Vi ringrazio per avermi invitato a tenere quest’intervento. Parlerò di economia e digitale.
La società è plasmata dalla tecnologia.
Nel XIX secolo era la macchina a vapore che ha prodotto le fabbriche e la relativa struttura sociale
Nel XX secolo era l’energia. Radio, tv, calcolatrici, telefono e fax  hanno messo in comunicazione i mercati hanno ristretto il mondo e accelerando lo sviluppo delle città.
Il XXI secolo è il secolo digitale…  ed è ancora tutto da costruire.
Abbiamo 10000 di storia dalla nascita dell’economia fisica iniziata con l'agricoltura, abbiamo solo 10 anni nel mondo de materializzato.  L’ipod, i primi collegamenti a banda larga sono del 2001, solo 10 anni fa..
Il nostro secolo è il secolo digitale. La politica non può e non deve ignorarlo.
Pensare ad Internet solo come a Facebook è come parlare dell'elettricità e pensare alla lampadina, mentre  invece entra in tutte le industrie e le costringe a ridisegnare attività e processi.
La delocalizzazione, la Cina come fabbrica del mondo, sono figlie di Internet della tecnologia.
E lo sviluppo tecnologico non lo possiamo fermare.
Questo, la politica che pensa ai dazi, non l’ha capito.
C'è una frattura sociale tra le persone che conoscono un mondo solo fisico e le persone che conviviamo col digitale.
La stampa è in crisi non per la mancanza di lettori ma perché il supporto cartaceo è sotto attacco dal digitale. Le informazioni sono tutte intorno a noi e la trasformazione è così veloce che annaspiamo a cercare nuovi modelli di business.
Ma questo, la politica che strizza l’occhio alla censura, non l’ha capito.
Ci ricordiamo quando si andava alla stazione il giorno prima a comprare i biglietti del treno. Ryanair, Easyjet, che sono le più profittevoli compagnie aeree oggi, nate a cavallo degli anni 90, esistono perché internet ha annullato i costi commerciali e consente di usare aeroporti secondari.
I loro profitti non vengono però dal trasporto aereo; gli aerei sono una piattaforma per la vendita di
assicurazioni, autonoleggi e prenotazioni alberghiere.
Ma questo, la politica che “salva” l’Alitalia, non l’ha capito.
I nostri “Leader” raccontano in TV che le nostre bellezze storiche e paesaggistiche sono un patrimonio non rilocabile.  E’ vero, ma il problema è che non le vendiamo noi.
Oggi, quasi tutti i turisti che vengono in Italia usano servizi di prenotazioni online che si prendono il 15% del prezzo della camera, cioè  la metà del margine degli albergatori.
Noi, il Colosseo, dobbiamo spolverarlo; loro hanno solo qualche server.
I dati mostrano che una grande quantità di gente cerca su Google vacanze in Italia e poi prenota in Spagna, per mancanza di offerta online.
Ma questo, la politica che fa settimane turistiche andando in giro per il mondo a promuovere una provincia o una regione, non l’ha capito.  Internet è il fattore che ha contribuito di più alla crescita del PIL italiano negli ultimi 4 anni, creando 700.000 posti di lavoro, prevalentemente per giovani, mentre i settori maturi li perdevano.
Ma la politica che carica sui giovani tutta la flessibilità del sistema concentrata nel sostegno di settori decotti, proprio non lo capisce.
Il problema non è il PIL, ma la produttività, che cala. In 10 anni il costo del lavoro per unità di prodotto è aumentato del 24 percento in Italia mentre in Germania è diminuito.
La differenza di crescita tra l’Italia e gli altri grandi Paesi è spiegata dal diverso livello di investimento nel digitale.  Se nei prossimi cinque anni gli investimenti tecnologici fossero pari a quelli del Regno Unito, si raddoppierebbe la crescita annua del PIL italiano.
Queste cose non sono io a dirle, ma il Centro Studi Confindustria.
Ma che il digitale sia IL traino dello sviluppo, la politica che abolisce i Ministeri delle Comunicazioni e dell’Innovazione, non l’ha capito.
Mentre il mondo corre nel XXI secolo, la politica attuale ha difficoltà a leggere il presente, e non sa proporre una visione per il futuro.
Il modello di sviluppo che applica è quello degli anni 60: più scavi, più metri quadri.
Ma nel secolo digitale bisogna darsi anche un’agenda diversa; un rapporto di una agenzia dell’ONU dice che al mondo 161 paesi che si sono dati una strategia digitale; l'Italia non è tra questi 161.
Concludo con due proposte molto concrete:
Prima proposta: Inversione dell’onere della prova. Per ogni provvedimento, il default è il digitale. Per
fare una cosa non in digitale, bisogna dimostrare che costa meno.
Seconda proposta: Ogni anno, tutti i ministeri devono allegare alla legge finanziaria il loro piano di innovazione tecnologica, la loro agenda digitale.
Forse così potremmo avere una strategia per il secolo digitale, che non abbia necessariamente sempre l’aggettivo “terrestre”…

Insomma, dal nostro punto di vista che sia o no Matteo Renzi ad avviare la rivoluzione digitale in questo paese poco importa, ciò che conta è che ci si impegni con serietà e competenza nella stesura di agende digitali chiare, efficaci, e -soprattutto- rispettate e non soltanto proclamate.

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