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Il CEO di Disney: “Hitler avrebbe adorato i social network”

In un intervento di qualche giorno fa il numero uno del gruppo statunitense si è scagliato contro il potenziale insito nei social network di diffondere e amplificare messaggi d’odio in tutto il mondo. Il meccanismo al quale fa riferimento il CEO è universalmente noto, ma il problema dei soggetti che lo sfruttano per creare divisioni è ancora irrisolto.
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A cura di Lorenzo Longhitano
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In queste ore Disney sta facendo parlare per via del lancio della sua piattaforma di streaming video Disney+, che farà concorrenza a Netflix, Amazon Prime Video e molte altre realtà del settore; già un paio di giorni fa però il presidente del gruppo, Bob Iger, si era guadagnato le luci della ribalta per aver denunciato in modo abbastanza netto il potenziale dei social network di diffondere e amplificare messaggi d'odio in tutto il mondo. In quell'occasione Iger ha descritto l'attuale assetto di queste piattaforme come "lo strumento di marketing più potente che un estremista possa mai desiderare", arrivando ad affermare che "Hitler avrebbe adorato i social media".

Il problema al quale il numero uno di Disney si riferisce è che per guadagnare il più possibile dagli inserzionisti questi servizi sono addestrati a mostrare a ciascun utente i contenuti provenienti dalla sua cerchia di conoscenze e quelli con i quali è più probabile finirà con l'interagire, con un risultato che però distorce la realtà: un sistema che "dà a ciascuno l'illusione che tutti abbiano la propria stessa opinione". Non è un punto di vista nuovo, tanto che il fenomeno denunciato da Iger è universalmente riconosciuto con il nome ben preciso di camera dell'eco. Il meccanismo rischia però di farsi particolarmente pericoloso quando legittima l'odio, nelle forme "più socialmente accettabili di paura, risentimento e disprezzo". Iger prosegue parlando della diffusione delle fake news — altra patata bollente nelle mani di Facebook, Twitter e non solo — e chiudendo la propria denuncia in modo in realtà piuttosto enfatico, ma ciò di cui parla è ormai riconosciuto come un vero problema da una comunità sempre più vasta di personalità, non solo provenienti dai settori strettamente hi tech.

Gli algoritmi che governano le piattaforme di condivisione online sono fin troppo facili da sfruttare a vantaggio di chiunque voglia diffondere messaggi divisivi. A rimetterci in questo meccanismo sono innanzitutto obbiettività e civiltà del dibattito, che in una pubblica piazza (fisica o virtuale) dovrebbero rimanere sempre prioritari; nel medio e lungo termine, rischiano però di venire meno negli utenti anche empatia, spirito critico e capacità di relazionarsi con il mondo esterno. Di soluzioni definitive al problema per il momento non ne esistono: Facebook sta tentando di mettere un argine al diffondersi dei contenuti di stampo più palesemente violento, ma per quelli che pur diffondendo scientemente tossicità non violano alcuna norma non c'è antidoto, a parte un ripensamento totale degli algoritmi che governano la visibilità dei contenuti.

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