Il Datagate non è mai esistito. O almeno sembra che sia così negli Stati Uniti d'America, dove le rivelazioni fatte da Edward Snowden sui metodi di controllo della National Security Agency sembrano non aver intimidito le agenzie governative, le cui richieste di accesso alle informazioni degli utenti continuano a crescere e a essere giustificate da documenti ufficiali come l'ultimo rapporto del Privacy and Civil Liberties Oversight Board, un'agenzia bipartisan che giustifica totalmente la necessità di tenere sotto controllo il web e i suoi utenti.
Ad alimentare quella che con il tempo sta diventando una preoccupazione comune è Twitter, la piattaforma di microblogging più utilizzata al mondo forte di un'importante crescita degli utenti nell'ultimo anno, che nei giorni scorsi ha pubblicato un preoccupante post nelle pagine del blog ufficiale dell'azienda, con il quale ribadisce la sua battaglia a favore degli utenti e mette in evidenza un dato non proprio rassicurante: le richieste di informazioni sull'accesso degli utenti a Twitter da parte degli organi Governativi è cresciuta del 46 percento rispetto all'anno scorso.
Il social network di San Francisco, capitanato da Dick Costolo, è uscito (ancora una volta) pulito da un nuovo report pubblicato dalla Electronic Frontier Foundation, che conferma Twitter in prima linea nella salvaguardia dei diritti e della privacy degli utenti. Non a caso, tutte le aziende piazzate al vertice di una classifica che giudicava le ventisei società più importanti nel mondo della tecnologia con la quale l'organizzazione non governativa ha premiato le posizioni più trasparenti, si sono più volte impegnate con alcune cause legali in difesa dei propri utenti. Il caso più eclatante riguarda proprio Twitter e disputa sul caso di Malcolm Harris, nel quale la piattaforma di microblogging si rifiutò di concedere l'accesso alle informazioni personali di uno dei manifestanti più attivi del movimento Occupy Wall Street, arrestato nell'ottobre 2011 per l'occupazione del ponte di Brooklyn: dopo una lunga battaglia legale però, l'azienda di Costolo fu costretta a cedere.
Un caso che ha fatto storia, nonostante l'incredibile scandalo del Datagate, e che ha influenzato anche una vicenda molto simile che vede protagonista Microsoft nella quale, a differenza di quanto è capitato con il social network, il colosso di Redmond è già uscito sconfitto al primo round di una battaglia legale nata dopo la richiesta del Governo degli Stati Uniti d'America di accedere ai database contenente le informazioni relative alle email di un utente, conservate però fuori dal territorio U.S.A., in un data center di Dublino in Irlanda: secondo un Giudice della Corte Costituzionale statunitense non conterebbe la posizione geografica dei server, ma la nazionalità dell'azienda che ne gestisce i dati memorizzati. La