Dopo aver censurato un nudo di Gerhard Richter la scorsa estate, Facebook colpisce ancora. Il social network ha rimosso dalla pagina ufficiale del museo Jeu de Paume di Parigi una fotografia del 1940 che ritrae una donna a seno scoperto e ne ha sospeso l'account per 24 ore, con l'accusa di aver violato il regolamento per la pubblicazione dell'immagine con contenuto pornografico.
Dopo la rimozione dell'immagine (Étude de nu, parte di un'esposizione della fotografa Laure Albin Guillot) avvenuta lo scorso venerdì, il museo ha ripubblicato l'immagine censurando il seno della protagonista, specificanto di "aver già violato precedentemente il regolamento, con delle immagini di nudo di Willy Ronis e Manuel Álvarez Bravo" e che un'ulteriore ammonizione da parte del social network potrebbe causare la sospensione permanente dell'account.
Contraddittoria la reazione di chi gestisce il museo. Nonostante Marta Gili, direttore del Jeu de Paume, abbia dichiarato durante un'intervista rilasciata al Libération che "il museo in futuro eviterà di pubblicare fotografie di nudo, ma le descriverà in maniera molto dettagliata facendo ancora più scalpore tra gli utenti", sulla pagina ufficiale di Facebook è stata pubblicata una lettera aperta nella quale l'organizzazione del museo ringrazia tutti gli amici per il supporto e dichiara che in futuro si "rifiuteranno di accettare qualsiasi modalità di censura".
Tenendo ben presente che Facebook censurò il nudo di Gerhard Richter per errore, scambiando il dipinto per una fotografia e ripristinandolo poco dopo, restano da chiarire le motivazioni per le quali il social network permetta la pubblicazione dipinti e sculture di nudo (seppur molto realistiche) e vieti la pubblicazione di fotografie: l'arte è arte. Ma la domanda ancora più importante è se una delle più grandi compagnie al mondo possa essere rappresentata come un'unica community e soprattutto se i suoi standard di sicurezza sul "nudo d'autore" stiano davvero portando un giovamento all'ormai miliardo di persone che giornalmente ne fanno parte.
"Dietro a tutto questo c'è un fondamentalismo obsoleto, una sorta di radicalismo religioso the non approva il nudo, soprattutto quello femminile" – afferma Gili al Libération – "perchè non è di certo una coincidenza che sia sempre il corpo femminile a causare questo genere di problemi".