A porsi questa domanda volutamente provocatoria è il New York Times, in merito ad una discussione relativa all'Antitrust americano, sulla scia di alcune rivelazioni che vedono Steve Jobs – una delle personalità più venerate dai dipendenti della Silicon Valley – come la forza trainante di un complotto per tenere bassi i salari dei dipendenti delle aziende tecnologiche californiane. Una vicenda spinosa, che viola la legge Antutrust Sherman, per la quale i big del tech come Google, Apple e addirittura Adobe hanno già deciso di patteggiare: il rischio è una class action da record, aperta da oltre sessantaquattromila lavoratori.
"Ogni cospirazione volta alla restrizione della concorrenza nel commercio è illegale" – si legge nel primo comma della legge Sherman – "Ogni individuo coinvolto in contratti o cospirazioni illegali è considerato colpevole di un crimine e, in caso di condanna dello stesso, è punibile con una multa o con la reclusione non superiore a tre anni, o con entrambe le sanzioni".
Steve Jobs era una "violazione antitrust ambulante", ha commentato Herbert Hovenkamp, professore presso la University of Iowa College of Law ed esperto in diritto antitrust, sbalordito dai rischi che l'Ex CEO di Apple "sembrava disposto a prendere". Rischi che lo hanno visto coinvolto in una faccenda molto simile, con Apple al centro di una bufera nella quale l'azienda di Cupertino avrebbe avuto un "ruolo centrale" in una cospirazione con i cinque big della pubblicazione online, per influenzare negativamente il prezzo di vendita degli ebook, facendolo sensibilmente aumentare nel tempo.
Ad attaccare il "genio della Silicon Valley" è anche Walter Isaacson, l'autore della sua biografia, che ricorda come Jobs abbia sempre pensato che "le regole che si applicano alla gente comune non si dovevano applicare a lui". "Questa era la sua genialità, ma anche la sua originalità" – continua Isaacson – "Ciò che gli ha consentito di fare cose fantastiche, ma anche di spingersi oltre il lecito".
Jobs fu infatti "prominente" anche in uno scandalo di otto anni fa, che vide protagoniste proprio Apple e Pixar (l'azienda d'animazione per la quale fu anche Amministratore Delegato) in un'operazione economica dichiarata illegale, con la quale i due colossi retrodatarono le rispettive azioni, per aumentare il valore delle sovvenzioni di opzione ai propri dipendenti senior: cinque dirigenti di altre società andarono in prigione, ma Steve Jobs non fu condannato.
Se da un lato l'indifferenza dei big della Silicon Valley nei confronti della legge non è di certo una novità (lo stesso Bill Gates fu arrestato per eccesso di velocità e guida senza patente, e la sua Microsoft ha avuto non pochi problemi con l'Antitrust), l'eccesso di competitività è stato uno dei particolari più rilevanti del carattere di Steve Jobs: basta pensare al suo famoso spot pubblicitario "1984" che aveva praticamente tagliato le gambe ad IBM, alla battaglia contro Microsoft e il suo Windows, e alla sua recente ossessione contro Google e Android.
Vere e proprie "guerre personali", animate da un estro e da uno spirito competitivo non indifferente, che gli hanno dato per anni la forza e le capacità di circondarsi di un team d'elite, di motivarlo e ispirarlo a costruire i prodotti migliori e più innovativi.