Aver partecipato a Woodstock significava essere una piccola divinità. Lo si era al di fuori di New York, figuriamoci al di fuori degli Stati Uniti. Nel 1969 e, in generale, negli anni successivi, aver partecipato a quella onda energetica, calderone di suoni ed emozioni e culmine di una generazione significava essere automaticamente elevati a figure chiave, spettatori di una rivoluzione globale consumata anche solo in quei tre giorni di festival. Poi, nel 1985, arriva il Live Aid di Bob Geldof e inizia la prima rivoluzione musicale: l'assenza. Quella del pubblico, che in realtà c'è, è presente davanti al palco anche in fiumi, laghi, mari di gente. Eppure il cuore pulsante dell'audience non è più (solo) quello: la maggior parte degli occhi puntano ad uno schermo, sono davanti ad una televisione, cantano e ballano nelle loro case. Numeri mai visti prima, infinitamente più alti di quelli davanti a Woodstock o a qualsiasi altro concerto mai organizzato. In quegli anni il luogo perde di significato perché un concerto diventa "ovunque". I milioni diventano miliardi, ma il punto cardine, il cuore di queste manifestazioni, resta: le tragedie che hanno segnato le epoche e alle quali questi concerti si pongono come risposte: l'Aids, la fame in Bangladesh, quella in Africa. Il terrorismo.
Mezzo milione di persone su Facebook, quasi 8 milioni su YouTube, decine di milioni sulle altre piattaforme. In diretta, per 3 ore, sui social network. Senza parlare, ovviamente, dei canali televisivi tradizionali che nella maggior parte del mondo hanno trasmesso in chiaro il concerto organizzato da Ariana Grande in collaborazione con numerosi artisti a pochi giorni di distanza dai terribili fatti seguiti al suo concerto in Gran Bretagna. Sul palco del One Love Manchester c'erano alcuni tra i più grandi nomi della musica pop: Take That, Robbie Williams, Pharrell Williams, Miley Cyrus, Ariana Grande, Black Eyed Peas, Katy Perry, Coldplay e Justin Bieber, tra gli altri. Un concerto immenso e apparentemente impensabile in un altro contesto, soprattutto con le tempistiche che hanno caratterizzato la sua organizzazione. Ma anche un concerto unico per la sua portata mediatica e la distribuzione social capace di far impallidire anche le più blasonate trasmissioni a reti unificate. Capace di far impallidire anche i concerti del 1969 e del 1985.
È il segno dei tempi, uno spartiacque mediatico che ieri ha portato centinaia di milioni di spettatori a guardare un susseguirsi di artisti per oltre tre ore su PC, smartphone, tablet e televisioni, senza limiti territoriali né di diritti. Almeno 38 paesi hanno trasmesso il concerto in chiaro su una o più emittenti televisive e radiofoniche – in Italia Rai 1, Rai 4, Rai Radio 2, RTL 102.5 e Super! – ma la vera rivoluzione si è svolta online, dove il concerto è stato reso disponibile in diretta sui maggiori servizi di streaming e sui social network: Facebook, Twitter, YouTube e Apple Music, per citarne alcuni, hanno trasmesso il concerto in contemporanea, raggiungendo diversi milioni di utenti per tutta la durata della diretta. È la Woodstock del XXI secolo, dove il luogo fisico viene completamente assimilato da quello digitale, enorme, infinito e i cui tentacoli possono raggiungere ogni angolo del globo. È l'evoluzione inevitabile di atti intensi e universali che da ormai decenni accompagnano l'umanità, da Woodstock al Live Aid, passando per il Freddie Mercury Tribute Concert, il concerto tenutosi nel 1992 in ricordo del cantante dei Queen scomparso l'anno precedente. Manifestazioni senza fedi politiche né religiose che oggi assumono un'importanza ancora più marcata in virtù del fatto che il terrore sembra averle prese di mira con l'obiettivo di associare l'idea di concerto ad un reale pericolo di attacco. Un nemico che sembra ormai naturale sfidare in questo modo, aumentando a dismisura la portata del messaggio di pace, di quel "Divertitevi stasera" annunciato da Ariana Grande ad inizio concerto.
Si parla di circa mezzo milione di utenti sul profilo della cantante – dove ora il contatore segna 67 milioni di visualizzazioni, 2,4 milioni di like e 733.000 condivisioni -, quasi un milione su YouTube – 8 milioni di visualizzazioni – e diversi milioni su Twitter, che però non fornisce un dato preciso. Un approccio di certo non nuovo – in passato altri concerti sono stati trasmessi sui social in diretta – ma che segna la nostra epoca per l'incredibile diffusione di un contenuto e, come conseguenza, del messaggio che il One Love Manchester vuole esprimere. E che cementifica nuovamente l'idea che ai Millennials sia ormai legato non solo il futuro del mezzo ma anche il suo utilizzo. Nel bene e nel male. Con la consapevolezza che una distribuzione di questo tipo, senza barriere né limitazioni, ha effetti concreti anche su elementi reali, come la raccolta fondi per le vittime dell'attentato.
Su Facebook da diversi mesi è attiva una funzione con la quale richiedere donazioni benefiche agli utenti, che con qualche click possono donare una determinata somma di denaro all'organizzazione scelta dall'amministratore di una pagina. Nel caso del concerto di ieri sera, solo su Facebook sono stati raccolti quasi 400.000 dollari a favore della Entertainment Industry Foundation, donati da 21.548 persone che hanno assistito al concerto sulla piattaforma di Zuckerberg. Su Twitter il live era sponsorizzato dalla British Red Cross, mentre su YouTube l'unico link indicato in descrizione rimandava al sito della manifestazione. La diretta in sé, invece, riportava il numero di telefono al quale mandare un messaggio per donare 5 sterline al We Love Manchester Emergency Fund. Anche solo prendendo l'unico dato in chiaro, cioè quello di Facebook, è però impossibile non considerare come la forza virale di una trasmissione di questo tipo abbia indubbiamente contribuito a rimpolpare la raccolta fondi, le cui stime iniziali si assestavano sui 2 milioni di dollari solo per la vendita dei biglietti. In quest'ottica Facebook avrebbe raccolto quasi un quarto di questa cifra.
Il One Love Manchester non solo è stata una delle più grandi manifestazioni contro il terrorismo, ma anche uno dei più grandi eventi mediatici di questo tipo. E la realizzazione ultima che questi eventi hanno raggiunto una ulteriore fase evolutiva, inglobando il concetto di concerto in quanto luogo fisico (Woodstock) e pesino quello di concerto come evento mediatico (Live Aid): oggi è un atto senza barriere che esplode su ogni schermo in nostro possesso, implacabile, rivoluzionario e gioioso. Non capirlo significa essere fuori dal mondo.