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In Cina le autorità possono spiare gli smartphone dei turisti

I turisti cinesi all’ingresso della regione autonoma dello Xinjiang sono costretti a fornire alle autorità il proprio smartphone sbloccato, che viene requisito e restituito anche dopo un’ora. Nel corso della procedura i telefoni vengono scandagliati attraverso un’app che ne controlla contatti, messaggi e file a bordo.
A cura di Lorenzo Longhitano
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Le note e a tratti inquietanti operazioni di sorveglianza cibernetica messe in atto dal governo cinese sul proprio territorio negli ultimi anni hanno iniziato a coinvolgere anche i turisti, o per lo meno la parte di turisti che partendo dal Paese desiderasse visitare lo Xinjiang, regone autonoma a maggioranza musulmana che a sua volta confina con il Kirghizistan. A queste persone — riferisce in queste ore più di una testata — la polizia di frontiera ritira temporaneamente gli smartphone sbloccati, per installarvi a bordo app spia che fanno man bassa di contatti, messaggi e altre informazioni in memoria.

La procedura costituisce un'intrusione di non poco conto nella privacy di cittadini stranieri e ha inizio al confine, quando le autorità chiedono in consegna i dispositivi. Gli smartphone vengono requisiti anche per un'ora e tornano nelle mani dei proprietari apparentemente intatti, ma in realtà sono già stati sottoposti a un trattamento di analisi scrupoloso e automatizzato.

Di nascosto dai proprietari gli iPhone vengono collegati a un macchinario che estrae tutti i dati che è possibile ottenere dai dispositivi, mentre sui telefoni Android viene installata un'app denominata BXAQ, che compie il lavoro per gli agenti spedendo le informazioni trovate su un server online. Dei telefoni presi in custodia vengono collezionati contatti, messaggi, eventi in calendario, lista delle app installate, ma non solo; viene scansionata la memoria del telefono in cerca di documenti corrispondenti a una banca dati di 73.000 file e termini noti e riconducibili non solo a contenuti di tipo estremista, ma anche a semplici pratiche religiose come estratti del Corano e guide sul digiuno durante il Ramadan.

Quella di voler ficcanasare nelle vite digitali di chi tenta l'ingresso nel proprio Paese è una smania che ultimamente ha coinvolto anche altri governi, come quello degli Stati Uniti: per ottenere un visto di ingresso in USA ormai molti visitatori devono obbligatoriamente fornire i nomi degli account social con i quali sono attivi online, per permettere alle autorità di accertarsi ad esempio di non avere a che fare con affiliati a organizzazioni criminali o terroristiche.

Le intrusioni nella privacy riscontrate ai confini dello Xinjiang però sono di tutt'altro livello. Del resto nella regione — a rischio di proteste e rivolte ma anche ricca di risorse — i cittadini detenuti in campi di concentramento sono numerosi, e per Human Rights Watch è noto da tempo che la popolazione locale sia soggetta a sorveglianza stretta e costante, anche attraverso apparecchiature ad alta tecnologia come sistemi di videocamere corredate da software riconoscimento facciale. Scandagliare l'intera esistenza digitale dei turisti che entrano ed escono dalla zona sarebbe dunque solo l'ultimo passo per controllarla in modo ancora più efficace.

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