L’80% degli inserzionisti online guarda oltre Facebook
Il motivo principale per cui il successo di Facebook e il suo sbarco in Borsa sono stati definiti da molti osservatori come una “bolla speculativa” riguarda la reale capacità del social network di monetizzare il successo planetario nel lungo termine. In passato ci siamo occupati più volte dell'efficacia delle inserzioni sulla piattaforma di Menlo Park e sulle diverse soluzioni messe a disposizione di marketers e pubblicitari, riportando i dubbi di chi analizza il mercato e controlla i flussi dell'advertising. Webtrends ad esempio nel febbraio dello scorso anno ha osservato che l'efficacia dei banner tradizionali, quelli che per capirci incontriamo nei siti durante la navigazione, sarebbe superiore a quella degli annunci pubblicati su Facebook, il cui costo invece è andato aumentando negli anni. Visto il successo mondiale della piattaforma e la sua penetrazione in buona parte del globo i pubblicitari hanno dato per “scontato” che rappresentasse il veicolo ottimale per raggiungere quanti più utenti possibili, senza calcolare evidentemente che mostrare un determinato annuncio ad un tot di persone non equivalesse automaticamente ad un numero elevato di click. Ora una ricerca di 33Across sembra confermare l'interesse dei pubblicitari verso il ROW, Rest Of Web, inteso come le possibili alternative alla piattaforma bianca e blu per i propri investimenti. Secondo tale ricerca infatti il 71% degli inserzionisti intervistati concentra l'80% della propria attenzione fuori dai confini di Menlo Park.
Un dato che stupisce di certo, vista l'incredibile popolarità del social network che non ha altri paragoni nel web, e che appare ancora più incredibile se si considera che solo tre mesi fa il rapporto Facebook 20 – ROW 80 riguardava “solo” il 58% degli inserzionisti. Sempre secondo 33Across attualmente solo il 4% dedica quasi tutte le sue energie al sito bianco e blu, in leggera crescita rispetto a marzo quando il valore era addirittura intorno allo 0%.
LA FUGA DI GM – Insomma, sembra una vera e propria emorragia di inserzionisti, spaventati forse dalla scelta di un gigante come General Motors che in pieno lancio della IPO di Facebook ha deciso di ritirare buona parte dei propri investimenti pubblicitari sulla piattaforma (10 milioni di dollari su un totale di 40 milioni all'anno) con una motivazione che non lascia spazio all'interpretazione: non funzionano. Anche se voci di corridoio parlano di un recente “riavvicinamento” tra i due giganti e la scelta di GM di abbandonare la piattaforma non ha avuto un impatto economico eccessivo, si è trattato però di un durissimo colpo subito dal social network rispetto alla sua immagine di veicolo pubblicitario, che può aver spronato gli inserzionisti già poco convinti a decidere di investire in altri lidi. In realtà, secondo il Wall Street Journal, Facebook avrebbe criticato la scelta di General Motors di fare riferimento a più aziende per la gestione della pubblicità sulla piattaforma e sarebbe questo il motivo degli scarsi risultati rilevati dalla casa automobilistica, ma il danno di immagine per Menlo Park alla fine è stato inevitabile e si è concluso con un effetto domino che ha portato molti altri inserzionisti a fuggire dalla piattaforma.
LA REAZIONE DI FACEBOOK – L'abbandono di GM, oltre a capitare (casualmente?) in una fase delicatissima come il lancio dell'IPO, in un momento in cui tutto il mondo finanziario aveva gli occhi puntati sulla piattaforma, si è aggiunta alle altre rilevazioni che mettevano in dubbio la reale efficacia di Facebook nell'ambito pubblicitario. Un problema di non poco conto per un gigante che basa buona parte dei suoi cospicui guadagni sull'advertising ma che da più fronti è stato accusato di porre eccessiva attenzione verso gli utenti investendo molto meno nelle strategie di marketing. La risposta del social network non si è fatta attendere e lo scorso mese in collaborazione con ComScore ha realizzato un report su come realizzare il social media marketing sulla piattaforma. Nel report il sito bianco e blu sostiene la propria efficacia in ambito pubblicitario a condizione che vengano rispettate alcune condizioni, come evitare che il focus principale dei brand sia soltanto la corsa sfrenata iniziale ad accaparrarsi fan e like, piuttosto che portare avanti una strategia a lungo termine che calibri il prodotto sulla base del target a cui ci si rivolge.
Sulla propria efficacia il social network non ha dubbi, portando l'esempio del brand Skittles, che nel marzo di quest'anno ha ricevuto 23.000 visite sul proprio sito aziendale ed oltre 320.000 sulla sua business page su Facebook, a dimostrazione della capacità della piattaforma di veicolare traffico in maniera molto più efficace rispetto agli ormai superati website. Un altro esempio fornito nel report è quello di Starbucks, la famosa catena di caffetterie; i fan del brand sono stati suddivisi in due gruppi, uno solo dei quali è stato esposto ai messaggi promozionali. Il risultato è stato che i fan che hanno visto gli annunci hanno acquistato nel 38% dei casi più spesso prodotti da Starbuck rispetto all'altro gruppo. Insomma Facebook funziona e anche bene, come confermato anche da una ricerca di eMarketers che ha rilevato come Marketplace rimanga tuttora uno strumento molto apprezzato nel settore, a differenza di alcune soluzioni Premium offerte dal social network che si sono rilevate invece poco convenienti.
Osservando i vari report dedicati all'efficacia di Facebook in ambito pubblicitario appare chiaro innanzitutto come la piattaforma sia ancora instabile, non avendo trovato ancora la chiave di volta per sfondare nel settore dell'advertising e convincere anche i più scettici sul suo valore. Di sicuro il vastissimo bacino di utenti è un'ottima base di partenza ed un prezioso strumento per poter dialogare con milioni e milioni di persone ma occorrono strategie precise che, come ricorda lo stesso social network, molto spesso non sono comprese dalle aziende che poi lamentano scarsi risultati nell'engagement. La piattaforma fin dall'inizio si è spesa molto nell'illustrare ai brand come utilizzare le diverse possibilità offerte, ma la varietà di mercati e di prodotti trattati inevitabilmente richiede personalizzazioni che, a detta di Menlo Park, vengono mal utilizzate dai brand e sulle quali il social network può intervenire in maniera limitata.