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Opinioni

La “febbre del cobalto” in Congo tra sfruttamento minorile e diritti umani violati

Le più importanti aziende tecnologiche non stanno facendo ancora abbastanza per combattere sfruttamento minorile e violazioni dei diritti umani nelle estrazioni di cobalto. Ma qualcosa sta cambiando: nel rapporto “Time to recharge” Apple è la migliore, molto male i produttori di auto elettriche.
A cura di Dario Caliendo
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Il motore della tecnologia moderna è un'invenzione tutta italiana ed è la pila (inventata da Alessandro Volta nel 1799) o meglio, la batteria. Tutti i dispositivi elettronici più diffusi fanno delle batterie al litio il cuore del  proprio sistema, ma se da un lato la pila è un orgoglio tutto italiano, dall'altro è anche la causa dello sfruttamento di migliaia di persone tra uomini, donne e bambini. Il motivo? L'estrazione del cobalto, un materiale essenziale di cui la Repubblica Democratica del Congo è ricca, che in quelle zone viene estratto a mani nude o con arnesi rudimentali per oltre 12 ore al giorno.

A mettere in risalto il costo "umano" della tecnologia è nuovamente Amnesty International, che a due anni dalla prima inchiesta a sollevare l'attenzione mediatica sulla drammatica realtà in uno dei Paesi più poveri del pianeta, in un nuovo report ha analizzato in ogni dettaglio l'intera catena di estrazione del cobalto e ha messo sotto la lente d'ingrandimento una serie di grandi aziende come Apple, BMW, Tesla, Samsung e Microsoft per valutarne i miglioramenti ottenuti.

A due anni di distanza, alcune aziende più ricche del mondo accampano ancora scuse perché non hanno indagato sulla propria catena di fornitori. Quelle che lo hanno fatto, invece, non rendono note le violazioni e i rischi per i diritti umani che hanno riscontrato. Se le aziende non sanno da dove viene il cobalto, figuriamoci i loro clienti” – Seema Joshi

L'elemento più prezioso è nelle mani di una sola azienda

Praticamente tutto il cobalto raccolto in Congo è nelle mani di un'azienda cinese, la Huayou Cobalt. Questo colosso gestisce centinaia di impianti minerari di Cobalto in Congo e – guarda caso – è stata la prima a finire nel mirino di Amnesty International: è ormai chiaro che rappresenta il collegamento tra le miniere e le aziende.

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Andando contro pregiudizi e congetture, nel suo rapporto Amnesty ha evidenziato come la Huayou Cobalt si sia realmente impegnata negli ultimi due anni ad adeguarsi agli standard internazionali per il rispetto dei diritti umani ed abbia iniziato ad applicare una serie costanti verifiche su tutta la catena di estrazione e di distribuzione. Ma non è tutto oro (anzi, cobalto) quel che luccica: se da un lato il colosso cinese ha iniziato ad adottare una politica a tolleranza zero nei confronti dello sfruttamento minorile, dall'altro ha assolutamente messo in chiaro che non ha intenzione di cedere sui minatori artigianali. Le motivazioni di questa decisione non sono però del tutto sbagliate: la la Huayou teme che l'abolizione di questa pratica (estremamente pericolosa) possa avere un impatto negativo sulla già disastrata economia della regione.

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Ma una cosa è chiara. Quanto fatto dalla Huayou Cobalt è da prendere come esempio, perché il colosso cinese è riuscito a dimostrare in soli due anni che, volendolo, è possibile cambiare e adeguarsi in modo da migliorare.

Se le batterie sono agli ioni di litio, perché è così importante il cobalto?

Perché il cobalto si utilizza per la costruzione del polo positivo delle batterie, ovvero per il catodo. Ed è proprio la struttura del catodo e la sua conformazione fisica a determinare il tipo di batteria.

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Ma nonostante il cobalto rimanga un elemento essenziale per la costruzione delle batterie, non tutte le "pile" utilizzate dalle aziende sono uguali. Tesla, ad esempio, per realizzare i catodi delle sue auto elettriche e del suo Powerwall, oltre al cobalto utilizza un mix di alluminio e nichel (nelle auto) e un mix di manganese e nickel (nel Powerwall).

Una batteria di un iPhone e di un qualsiasi altro smartphone, invece, viene costruita realizzando un catodo totalmente in cobalto.

I bambini vittime della "febbre del cobalto"

Non più febbre dell'oro, ma febbre del cobato. La criticità nella catena di produzione delle batterie, associata alla rarità del materiale, ha reso il cobalto estremamente costoso rispetto agli altri elementi utilizzati: il costo di 1000 kg di cobalto è di circa 27.000 dollari contro ad esempio i 10.000$ del nichel.

Il 40 percento dell'estrazione mondiale di cobalto viene utilizzato per la realizzazione delle batterie, un motivo che ha ormai fatto entrare tutti gli esperti nell'ottica che questo materiale sarà a breve più prezioso dell'argento, soprattutto quando la diffusione delle auto elettriche diventerà planetaria.

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E come se non bastasse, oltre il 50 percento dell'eterogenite, la roccia dalla quale si ricava il cobalto, proviene dalla Repubblica Democratica del Congo. Secondo le stime del Governo, buona parte di di questo cobalto viene ormai estratto utilizzando delle macchine automatizzate, ma circa il 20% proviene da miniere nelle quali viene utilizzata solo la forza umana per la raccolta del materiale: nella zona meridionale del Congo i minatori a tempo pieno si stima siano più di 150 mila. Ma anche se, nel 2002, il Governo congolese sia intervenuto con una regolamentazione delle miniere, molte compagnie minerarie oltrepassano la zona controllata per estrarre il materiale senza dover seguire queste regole.

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Nel rapporto di Amnesty International è stato portato alla luce che, nel 2006, gli adulti e (soprattutto) i bambini erano costretti per oltre 12 ore ad estrarre cobalto in tunnel estremamente stretti con l'ingente pericolo non solo di incidenti mortali, ma anche di contrarre gravi malattie. E tutto per meno di due dollari a giornata lavorativa.

Dal 2006 le cose sembrano cambiare, ma ancora non basta. Dopo il rapporto di Amnesty International, il Congo si è impegnato ad attuare, entro il 2025, una strategia secondo la quale i minori sarebbero totalmente banditi dalle miniere artigianali di cobalto. Ma è chiaramente troppo presto per poter valutare quanto questi provvedimenti miglioreranno le condizioni dei lavoratori e come il Governo congolese gestirà il problema degli scavi fuori le zone controllate.

Le aziende sotto esame: Apple è al primo posto

Il nuovo rapporto di Amnesty ha esaminato i progressi fatti dalle 28 aziende tecnologiche più importanti che sono attualmente in rapporto con la Huayou Cobalt o che acquistano cobalto in Congo, valutandole sulla base di cinque criteri che riflettono gli standard internazionali: nessuna delle 29 aziende ha effettuato azioni adeguate a rispettare gli standard internazionali.

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Secondo quanto riportato da Amnesty, ad oggi Apple è l'azienda consumer che più si avvicina al pieno rispetto dei diritti internazionali. Il colosso di Cupertino non è ancora in grado di soddisfare tutti i requisiti, ma nel corso del 2017 ha fatto progressi estremamente importanti, diventando la prima azienda ad aver reso nota la lista di tutti i propri fornitori di cobalto e leader indiscusso per quanto riguarda le fonti di cobalto responsabili. Inoltre l'azienda di Tim Cook è l'unica a sollecitare i propri fornitori, come la Huayou Cobalt, a identificare e rimediare tutte le violazioni dei diritti umani riscontrate nella catena di estrazione, lavorazione e distribuzione.

Ma Apple è praticamente l'unica. Alcuni brand come Huawei non hanno assolutamente risposto alle domande e Microsoft non sarebbe in linea neanche con i minimi standard internazionali. Per non parlare delle aziende produttrici di veicoli elettrici: nel rapporto Renault e Daimler sono valutati malissimo, mentre BMW è quella che si comporta meglio.

La soluzione di Amnesty è semplice. Prima di tutto è ritenuto di vitale importanza che i consumatori siano informati di questa triste realtà (d'altronde è chiaro, non si può solo considerare il prezzo di un prodotto, senza sapere cosa c'è dietro), inoltre tutte le aziende dovrebbero rendere note le violazioni di diritti umani ed identificarle nella catena di fornitori.

Se un'azienda ha favorito lavoro minorile o di adulti in condizioni terribili, o ne abbia tratto beneficio, deve rimediare immediatamente al danno. E oltre che a collaborare con il governo locale per impedire queste orribili tipologie di lavoro e per reintegrare la presenza a scuola dei minori, deve prendersi cura della salute di chi, sfruttato, ha contratto malattie e danni psicologici.

Ma, si sa, tutto ha un costo. E nella guerra dei profitti non tutti potrebbero avere il buon cuore di rinunciare a un piccolo guadagno, a favore di un grande beneficio per chi chi – probabilmente – di benefici non ne ha mai visto uno nella propria vita.

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