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La RAI fa bene a rimuovere i video da YouTube ma non ad abbandonarlo

Il servizio pubblico è perfettamente in grado di ospitare su Rai.tv il materiale che ora è su YouTube ma è un errore abbandonare le potenzialità social e d’archivio consentite dalla piattaforma di Google.
A cura di Gabriele Niola
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È decisamente una brutta situazione quella che si è creata tra RAI e YouTube, una da cui difficilmente ne uscirà un vincitore. Tantomeno ci guadagneremo noi.

La RAI ha ben più d’una ragione dal pretendere di rivedere l’accordo stipulato nel 2008 con Google, quello in base al quale per 7.000 video caricati l’anno riceve 700.000€. Stiamo parlando di materiale che vale molto più di questa cifra, specie oggi che YouTube non è quello del 2008, e che può trovare posto su un’alternativa più che valida: Rai.tv, piattaforma ottima, funzionale e precisa del servizio pubblico. YouTube è nettamente un di più, nonchè un intermediario che guadagna su materiale di proprietà dello stato.
Sia chiaro: non è la fine del mondo. Ci sono molti contractor privati che lavorano come intermediari per lo stato e del resto la RAI non può garantire i propri servizi affidandosi unicamente a se stessa e alle proprie strutture, ma visto anche il contesto economico l’azienda pubblica è in dovere di trarre maggiore beneficio dallo sfruttamento dei propri contenuti, motivo per il quale chiede di raccogliere attraverso la propria concessionaria la pubblicità che finirà su YouTube. Dettaglio che il tubo non è disposto ad accettare (bisogna ricordare che Google in sè funziona come una concessionaria pubblicitaria).

Quindi lo stallo tra Gubitosi e il country manager di Google Italia Fabio Vaccarono pare irrimediabile e del resto dal 1° Giugno, stando le cose come stanno adesso, RAI rimuoverà tutti i video dal proprio canale.
La cosa più grave però è che pretenderà anche la rimozione di tutti le clip i cui diritti sono di sua proprietà da qualsiasi altro canale. Insomma non ci dovrà essere più niente di RAI in tutto YouTube. Una follia, lo sappiamo, sarà un colpo durissimo per quel lavoro mostruoso fatto dagli utenti sull’archivio televisivo italiano. Nei 60 anni di televisione pubblica italiana ci sono tesori inestimabili e metterli a disposizione di tutti, istantaneamente e gratuitamente è uno sforzo che RAI non può sostenere mentre YouTube gradualmente stava consentendo. Ad un livello ancora più profondo si deve tenere conto del fatto che YouTube opera una selezione di cosa mettere online attraverso gli utenti e non la RAI, scoperchiando materiali (e alle volte intere trasmissioni) che probabilmente non sarebbero una priorità per l’azienda. È la storia della seconda metà del ‘900 italiano ricostruita dalle persone, a partire dalle immagini televisive, non quella consentita dagli organi ufficiali, la storia fatta dal basso che si aggiorna ogni qualvolta clip prima inutili ritornano importanti per il sopraggiungere di eventi che le rendono nuovamente d’attualità. Un’operazione straordinaria che ora lo stallo sul nuovo accordo fa diventare illegale.

La RAI, come abbiamo spiegato, ha le sue ragioni mentre non possiamo sapere quanto YouTube abbia offerto o se stia realmente facendo di tutto per non perdere il legame con il servizio pubblico. Tuttavia ancora ci potrebbe essere uno spiraglio per, in un certo senso, salvare capra e cavoli, cioè per far sì che RAI monetizzi al meglio i propri contenuti e tragga il massimo vantaggio dal posizionamento su YouTube.
Se c’è qualcosa che manca a Rai.tv infatti è la dimensione social. I video da quella piattaforma non sono condivisibili, non sono commentabili, non si incorporano su Facebook (non bene come il player YouTube) e non girano il mondo (si guardi il caso di Suor Cristina a The Voice, 50 milioni di views da tutto il pianeta, una pubblicità pazzesca). Per quanto ottima come piattaforma Rai.tv è un giardinetto chiuso nel quale si va a guardare ma non si condivide. YouTube quindi potrebbe essere un modo per la RAI di sfruttare un numero molto limitato di contenuti (i più commerciali e condivisibili) in altre maniere. Un modo per veicolare diversamente una parte di quel che produce.
In parole povere un nuovo accordo non particolarmente esoso per il tubo potrebbe prevedere che il servizio pubblico si appoggi solo ancillariamente a YouTube, usandolo non più come piattaforma di distribuzione ma solo come social network, con l’obiettivo di rimandare poi a Rai.tv per il grosso della fruizione. In questa maniera potrebbe continuare anche a monetizzare il grande archivio uploadato dagli utenti, senza bisogno di tirare giù niente ma continuando a permettere a noi (che poi siamo lo stato) di creare e mantenere vivo quel database che una singola azienda non può mettere in piedi.

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