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Opinioni

La Siae attacca Apple per aver aumentato i prezzi in conseguenza del nuovo Equo Compenso

Dopo l’aumento dei prezzi di vendita dei dispositivi della mela morsicata, la Siae punta il dito contro Apple, accusando il colosso di Cupertino di aver attuato “un’operazione di pura mistificazione della realtà mirata a confondere i consumatori”.
A cura di Dario Caliendo
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Ormai in vigore da dieci giorni, si iniziano a vedere leprime  conseguenze relative ai rincari decisi dal Governo introdotti con il nuovo Equo Compenso. La prima azienda ad aggiornare i prezzi di vendita dei propri dispositivi è Apple, ma gli altri big del tech non tarderanno a prendere una decisione: d'altronde le cifre in gioco non sono piccole e, nel caso in cui scegliessero di accollarsi le spese relative agli aumenti governativi, le aziende vedrebbero in forte calo i propri profitti annuali.

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Insomma, è molto probabile che la scelta fatta dal colosso di Cupertino non sarà l'unico caso, e che presto anche gli altri produttori potrebbero scaricare nelle tasche dei consumatori i costi extra derivanti dall'Equo Compenso: per acquistare un iPhone 5S da 16 GB bisognerà pagare 3,78 euro in più, mentre il modello da 32GB costa 4,76 euro in più (nello specifico 843,76 euro) e quello da 64GB costa 5,25 euro in più (per un totale di 954,25 euro); per quanto riguarda gli iPad Air invece, l’aumento è di 2,5 euro per il modello da Air da 16GB WiFi (che ora costa 481,56 euro), di 3,5 euro per il rispettivo modello da 32GB e di 4 euro per i modelli da 64 e 128 GB.

Sono queste le motivazioni che hanno fatto scattare l'allarme in Siae, dove è stata organizzata una riunione straordinaria per valutare le diverse possibilità di risoluzione del problema e che nelle ultime ore ha puntato il dito contro l'azienda capitanata da Tim Cook, dichiarando di aver appreso “con sconcerto della provocatoria iniziativa della Apple Italia che da oggi, pubblicizzandola come ‘tassa sul copyright', ha rincarato i prezzi dei propri dispositivi applicando un aumento esattamente pari alla rivalutazione della tariffa dovuta per Equo compenso, decisa dal Governo il 21 giugno scorso. Con un'operazione di pura mistificazione della realtà mirata a confondere i consumatori e a mantenere inalterati i propri ingenti profitti, spesso realizzati attraverso l'utilizzo di manodopera a basso costo".

Un'ipotesi appoggiata anche da Dario Franceschini, l'attuale Ministro della Cultura e del Turismo, che ha parlato di "un aumento puramente ritorsivo nei confronti dei loro clienti italiani", che di fatto smentisce le rassicurazioni fatte proprio poco prima dell'entrata in vigore delle nuove tariffe con le quali si anticipava ai consumatori italiani che le nuove tassazioni sarebbero state a spese delle aziende produttrici, e che tramite un tweet pubblicato nella giornata di ieri ha fatto notare che nonostante in Germania e Francia l'Equo Compenso sia più alto rispetto a quello attuato in Italia, lo smartphone del colosso di Cupertino è venduto a un prezzo inferiore rispetto a quello in vigore nel Bel Paese.

Ma i fattori che influenzano il prezzo di vendita dei dispositivi Apple sono ben altri, e a fare il punto della situazione ci pensa Guido Scorsa, l'avvocato che sta rappresentando Altroconsumo nel ricorso al TAR del Lazio contro il recente decreto: "La Francia è il solo Paese europeo dove questo costo è più alto che in Italia e notiamo che ci sono Paesi in cui non si paga affatto, come Spagna e Regno Unito. Ma si può spiegare così il prezzo inferiore dell’iPhone: in Francia gli altri costi subiti da Apple per l’esercizio del business sono più bassi che in Italia" e in effetti è vero: contrariamente a quanto accade per gli iPad, i prezzi relativi agli smartphone di Cupertino sono sempre stati maggiori in Italia rispetto a quelli francesi, anche prima dell'arrivo dell'Equo Compenso.

Ma nonostante l'aumento dei prezzi di vendita che nelle ultime ore ha caratterizzato i dispositivi di Cupertino, la scelta di Apple potrebbe essere importante in un'ottica del tutto diversa, con la quale sia il ministro Franceschini che il premier Renzi potrebbero forse rendersi conto che la scommessa fatta per spingere lo sviluppo e l'innovazione digitale nel Bel Paese, di certo non va a braccetto con le nuove tassazioni imposte sui dispositivi tecnologici.

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