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Covid 19

La storia della “pandemia” di World of Warcraft (che aiuta a combattere quelle reali)

Nel 2005 una pandemia incontrollata e involontaria ha colpito il mondo digitale di World of Warcraft. L’evento, non voluto dagli sviluppatori, ha avuto ripercussioni talmente importanti sul comportamento dei giocatori da essere finito all’interno di uno studio pubblicato su The Lancet riguardante proprio le pandemie reali.
A cura di Marco Paretti
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Tra le storie più clamorose che ruotano attorno al mondo dei videogiochi, quella della pandemia di World of Warcraft è di certo una delle più incredibili. Lo è vista l'attualità e visto che si parla di un elemento che sembra uscito direttamente da un film: una pandemia incontrollata e involontaria che ha colpito un mondo intero. Digitale, ovviamente, ma con ripercussioni talmente importanti sul comportamento dei giocatori da essere finito all'interno di uno studio pubblicato su The Lancet riguardante proprio le pandemie. Il motivo? Il comportamento dei giocatori in risposta alla diffusione del virus, un parallelo che ora, con una pandemia realmente attiva, è diventato incredibilmente realistico.

Andiamo con ordine: cos'è la pandemia di World of Warcraft? La nascita del virus è talmente assurda da sembrare impossibile, perché in nessun modo gli sviluppatori di Blizzard avevano previsto né voluto il diffondersi di un virus di questo tipo in grado di uccidere i giocatori e diffondersi tra essi. Tutto nasce nel 2005, quando nel gioco viene aggiunto un dungeon chiamato Zul'Gurub e dedicato ai giocatori di altissimo livello. Al termine della missione, i personaggi dovevano sfidare il boss Hakkar che, tra i suoi attacchi, possedeva l'abilità chiamata "Corrupted Blood" in grado di danneggiare nel tempo i giocatori, fino a farli morire esplodendo in una nuvola di sangue. Per eliminare questo effetto, gli utenti dovevano uccidere Hakkar. Semplice, no? Solo sulla carta, perché gli sviluppatori non avevano previsto una cosa: la paura.

Molti giocatori sono andati nel panico e si sono teletrasportati fuori dal dungeon prima di uccidere il boss, portando la "malattia" con loro. È stato l'inizio della pandemia. A quel punto il virus ha iniziato a diffondersi tra i giocatori in maniera simile a quanto avviene con un patogeno come potrebbe essere il nuovo cornavirus e a comportarsi esattamente come si sta comportando ora il Covid-19, cioè affliggendo pesantemente le persone più deboli. Ovviamente in WoW non ci sono anziani, ma ci sono i giocatori di livello più basso che, colpiti da Corrupted Blood, perdevano molto più velocemente i punti vita e andavano incontro a una morte molto rapida. Infine, la diffusione del virus è stata resa ancora più rapida da un bug del gioco che consentiva di trasmettere la malattia anche agli animali non controllati dai giocatori, che non mostravano sintomi ma erano infettivi. Il risultato è stata un'ecatombe: almeno tre server di gioco sono stati infettati con corpi che si ammassavano in piazze e città. Gli sforzi di quarantena non hanno funzionato e Blizzard si è ritrovata obbligata a resettare i server per risolvere il problema.

L'evento, però, ha avuto un impatto così grande da essere finito al centro dello studio delle pandemie. Il merito è di Eric Lofgren, un epidemiologo e appassionato del gioco che, insieme alla collega della Tufts University Nina Fefferman, nel 2007 ha pubblicato uno studio su The Lancet intitolato "The untapped potential of virtual game worlds to shed light on real world epidemics". L'obiettivo era quello di analizzare dal punto di vista epidemiologico la diffusione del bug di World of Warcraft mettendolo in relazione con il mondo reale. I risultati sono estremamente interessanti e, se raffrontati con quello che sta succedendo ora a causa del coronavirus, molto vicini alla realtà.

Dopo la diffusione del Corrupted Blood in WoW, infatti, Lofgren ha notato la nascita di diversi comportamenti. I giocatori che interpretavano personaggi dedicati alla cura, per esempio, hanno iniziato a provare a curare gli altri giocatori, infettandosi a loro volta e portando a un'ulteriore diffusione del virus. C'erano poi i curiosi, che hanno aperto il gioco solo per vedere la situazione e hanno contribuito a diffondere il problema nei server, e chi se n'è fregato e ha continuato a giocare come se nulla fosse. Infine, alcuni giocatori hanno diffuso il virus volontariamente e uno ha persino preso il ruolo di profeta annunciando nella piazza di una città la diffusione apocalittica del Corrupted Blood. Il comportamento dei giocatori in una situazione virtuale come questa si è rivelato specchio di ciò che sta accadendo ora con una pandemia realmente attiva nel mondo.

"Gran parte del mio lavoro riguarda la costruzione di modelli basati sulla percezione sociale del pericolo" ha spiegato Fefferman in una recente intervista a PC Games. "Non penso ci sarei riuscito facilmente se non avessi passato diverso tempo a pensare alle discussioni che i giocatori hanno avuto durante la diffusione del Corrupted Blood e a come hanno agito nel gioco". Anche Lofgren ha continuato a sottolineare l'importanza dello studio: "Per me ha rappresentato quanto sia importante comprendere i comportamenti delle persone. I virus si diffondono tra le persone e sono le loro interazioni e i loro comportamenti le cose davvero importanti. Ho capito che queste sono situazioni molto caotiche, non puoi davvero predire nulla".

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Giornalista dal 2002 specializzato in nuove tecnologie, intrattenimento digitale e social media, con esperienze nella cronaca, nella produzione cinematografica e nella conduzione radiofonica. Caposervizio Innovazione di Fanpage.it.
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