Una personalità come quella di Astutillo Smeriglia solo in rete poteva emergere.
Partito con video animati realizzati nella forma del cortometraggio (cioè tra i 5 e i 10 minuti di durata, autoconclusivi, solitamente con finale a sorpresa), spesso passati anche in festival di genere, è però online che ha inevitabilmente trovato fortuna e forse la sua collocazione migliore.
La sua ultima produzione è finalmente una webserie, si intitola Preti, è stata presentata al Festival del cinema nuovo di Pesaro in estate e ora va online sul canale Smeriglia in episodi della durata che gira intorno al minuto. E’ la sintesi di molte ossessioni che negli anni hanno dominato le invenzioni di Smeriglia e della Coma Film: il dubbio e l’assurdità di molti assunti base della religione.
Invece che affrontare il tema dal punto di vista del grottesco o del surreale come nei suoi primissimi lavori (nel 2008 esordiva online con la folgorante storia di due astronauti dalla testa a sedere in cerca di vita intelligente e nel 2009 postava Il giorno del Jujitsu, corto dall’animazione precaria ma dalla grandissima inventiva e straordinaria comicità, a cui è seguito poi Il pianeta perfetto), Preti è tutto un lavoro di umorismo verbale e dialoghi che lasciano emergere i paradossi della religione cattolica assieme all’inadeguatezza dei preti a gestire i veri dubbi. I protagonisti sono infatti un giovane prelatofresco di seminario e il più maturo parroco cui è stato affidato, in ogni puntata il giovane pone delle domande al suo mentore (solitamente nelle situazioni più strane) da cui scaturisce il dialogo.
Non mancano episodi più deliranti come quello dell’ultima cena (dalla chiusa eccezionale) o quello muto in bicicletta ma in linea di massima l’idea che sta dietro a Preti sembra opposta a quella che sbandieravano i primi lavori di Smeriglia, non un’animazione audace (sebbene povera) e pochissime invenzioni visive ma anzi disegni e movimenti ridotti al minimo per far uscire la comicità dai silenzi e dai non detti, come in un film di Takeshi Kitano.
Siamo agli antipodi della comicità mainstream dunque, Smeriglia non concede niente a nessuno, non viene incontro al suo pubblico e sembra non volerlo allargare, anzi spesso si diverte a sfruttare un umorismo più britannico che italiano (ad esempio nel caso dell’episodio al bar).
Reticente a farsi fotografare (anche ai festival), l’autore dell’unica forma audiovisiva di satira alla religione che i media italiani veicolano (per il resto non ce la passiamo bene) è anche uno degli scrittori più raffinati, un autarchico che sceneggia, disegna e anima da sè tutte le sue creazioni.
Eppure l’unica volta che Smeriglia ha tentato di abbandonare la forma animata, con la webserie recitata da attori (e in inglese) tutta ambientata in un luogo di lavoro The Colleagues, non è andata bene. L’umorismo è sempre quello, riconoscibile, surreale e raffinato ma la messa in scena è terribile, quello stesso minimalismo che funziona benissimo nella versione animata, tradotto in immagini reali fa assomigliare ogni episodio di questo prodotto, palesemente concepito come un corpo unico e poi spezzettato, alla brutta tv regionale.
Rimane una sola domanda: come mai se Astutillo Smeriglia è senz’ombra di dubbio il talento migliore dell’animazione che abbiamo in rete continua a rivolgersi al mondo del cinema (senza il successo che meriterebbe)?
Perchè nemmeno la rete italiana riesce a valorizzare e soddisfare uno dei suoi più chiari talenti?