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Lo streaming video inquina quanto tutta la Spagna

Da Netflix a YouTube, da Amazon Prime Video a Pornhub: il consumo di video in streaming è una delle attività più inquinanti del settore digitale e da sola contribuisce a immettere nell’atmosfera più di 300 milioni di tonnellate di anidride carbonica in un anno. Per contenere il fenomeno però servono gli sforzi di produttori e consumatori insieme.
A cura di Lorenzo Longhitano
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Da qualche anno ormai le criptovalute sono sotto accusa in tutto il mondo per via del loro contributo al surriscaldamento globale dovuto alle enormi capacità di calcolo richieste per il loro conio. Porsi il problema è sicuramente saggio, ma rischia di mettere in secondo piano quello del consumo di risorse richiesto da un'altra attività online ben più diffusa: la semplice riproduzione di video in streaming. Le denunce di climatologi ed esperti fioccano da tempo ma l'ultima arriva da una ricerca di The Shift Project ed è particolarmente scioccante: secondo le attività di produzione energetica connesse al settore della produzione e del consumo di video online hanno inquinato da sole, nel 2018, quanto l'intera Spagna.

Per la precisione si tratta di 306 milioni di tonnellate di anidride carbonica (l'1% delle emissioni globali di CO2 di quell'anno) che sono finiti nell'atmosfera terrestre per produrre l'energia elettrica che in 365 giorni è stata utilizzata per mantenere online e inviare a banda larga le clip video che ogni giorno ci gustiamo sul cellulare, al computer o sul televisore. Premesso che impossibile tracciare con precisione le fonti di approvigionamento energetico di ogni singolo data center assegnato al settore, si tratta comunque di numeri sui quali è necessario riflettere.

Il settore che consuma di più secondo The Shift Project risulta essere quello dei video on demand — i grandi siti di streaming in abbonamento tra i quali quelli famosi da noi sono principalmente Netflix e Amazon Prime, ma che in realtà prosperano a dozzine: da sole le operazioni connesse alle attività di questi portali immettono nell'atmosfera 102 milioni di tonnellate di CO2. Seguono il blocco dei siti a luci rosse con 82 milioni di tonnellate e quello dei siti di condivisione video, tra i quali rientrano YouTube e Vimeo, con 65 milioni di tonnellate. Facebook e Twitter rientrerebbero nella dicitura altri, con 56 milioni di tonnellate.

Per contenere il fenomeno però le buone pratiche da parte dei consumatori non sono sufficienti: gli esperti che si sono espressi a supporto della ricerca di The Shift Project consigliano di approcciarsi alla visione in modo più consapevole e moderato, ad esempio disattivando le funzioni di autoplay quando possibile e scegliendo una qualità di riproduzione più bassa, fino a scegliere di fare altro anziché guardare video. Tutto molto saggio, ma poco utile se non accompagnato da politiche che incentivino o obblighino a fare la propria parte anche chi sui video online guadagna giorno dopo giorno.

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