All hands on deck. Così le aziende statunitensi definiscono le riunioni partecipate da tutti i dipendenti o da tutti i membri di un dipartimento. Dai capi agli sviluppatori. Per più di un decennio Zuckerberg si è riunito ogni settimana con migliaia di lavoratori per discutere di ogni aspetto della sua azienda, spesso organizzando delle grandi sessioni di domande e risposte dove i dipendenti possono chiedere qualsiasi cosa al loro CEO. In oltre 10 anni, di queste riunioni non è trapelato praticamente nulla. Almeno fino ad oggi. La pubblicazione di oltre due ore di registrazioni audio da parte della testata americana The Verge – che spaziano dalla politica alla concorrenza – ha spalancato le porte a un flusso di pensieri senza filtri di Zuckerberg, come lui stesso lo ha poi definito. Ma ha anche sottolineato un elemento fondamentale: la regola del silenzio di Facebook è stata rotta.
È questo l'elemento più importante della pubblicazione degli audio: non il contenuto del "leak", ma il leak in sé. Già, perché le risposte di Zuckerberg ai dipendenti sono già state usate da entrambi i lati della barricata per auto-promuoversi: Elizabeth Warren, candidata alle presidenziali 2020 e al centro del movimento che chiede di "spezzare" i giganti del web, ha ottenuto nuovi elementi a cui aggrapparsi per la sua campagna ("Se diventerà presidente, saremo pronti a combattere" afferma il CEO di Facebook nelle registrazioni), mentre Zuckerberg ha pubblicato l'articolo di The Verge spiegando che si tratta di "una versione non filtrata di ciò che penso e dico ai dipendenti su tematiche come responsabilità sociale, spezzare le aziende tecnologiche, Libra, le interfacce neurali e fare la cosa giusta sul lungo termine".
Una mossa intelligente che ha consentito a Zuckerberg di sfruttare la diffusione dei suoi audio come un'ulteriore prova della trasparenza dell'azienda. Ma la verità è che i contenuti degli audio, per quanto possano essere interessanti, non sono così importanti quanto il fatto che siano stati diffusi. Per capirlo bisogna realizzare che in oltre dieci anni di incontri settimanali tra il CEO e i suoi dipendenti nessuna informazione è mai trapelata alla stampa e al pubblico. Un elemento straordinario se si pensa al numero di persone coinvolte e all'interesse che il mondo – e la stampa – ha nel social network. Ma anche al fatto che gli strumenti a supporto della regola del silenzio fossero semplici richiami ai dipendenti a restare fedeli alla cultura dell'azienda.
"Abbiamo questa cultura dell'apertura, ma tra di noi c'è un patto di non divulgazione dei segreti" ha spiegato un dipendente nel 2017. Per tamponare i rischi di leak, Facebook forma i suoi dipendenti nella comunicazione e li avvisa che potrebbero essere licenziati se diffondono informazioni aziendali private. Ma in Facebook c'è un altro deterrente: la vergogna. "Le altre persone si incazzerebbero se qualcuno diffondesse informazioni private" ha continuato il dipendente. "Non tradisci la famiglia". Ma ora, a distanza di anni dall'inizio di questi incontri, qualcuno ha tradito la famiglia. Cosa succede adesso?
La risposta dipende da come si guarda al caso. Da un lato può sembrare poco importante e, appunto, anche una mossa che giova a Facebook e alla sua difficoltà nel far passare l'idea di essere un'azienda trasparente. "Penso sia molto bello che Mark abbia condiviso l'articolo" ha commentato a Vox un dipendente. Dall'altro lato, però, questo elemento potrebbe portare ad un profondo cambiamento nella cultura aziendale: tutti sapevano che prima o poi la regola del silenzio sarebbe caduta, ma adesso è successo veramente. Quindi la domanda è lecita: ora che qualcuno ha aperto questa strada, quanti altri la seguiranno?