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Perché siamo rimasti senza microchip e cosa cambierà nelle nostre vite

La penuria di microchip a disposizione sta mettendo in crisi la produzione di numerosi prodotti di elettronica e parti consistenti di intere industrie, come quella automobilistica. Scatenata da Covid-19, la crisi dei chip ha però diverse concause che spiegano come mai la situazione rimarrà difficile anche nei mesi a venire.
A cura di Lorenzo Longhitano
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computer memory chip

Il mercato delle auto crolla, alcuni modelli usciranno in ritardo e le fabbriche chiudono temporaneamente in attesa di componenti che non arrivano. La crisi globale dei chip innescata da Covid-19 sta colpendo duramente il settore automotive, ma in realtà nei prossimi mesi non risparmierà alcuna realtà attiva nel settore dell'elettronica.

Alcuni effetti sono già sotto gli occhi di tutti: assicurarsi una delle ultime schede video Nvidia è diventato parecchio costoso per i videogiocatori dal momento che, dopo un periodo di tempo in cui è stato impossibile trovarne, ancora oggi i rivenditori online le smerciano a peso d'oro; lo stesso avviene per le console PlayStation 5 e Xbox che, vendute di seconda mano, mettono i giocatori di fronte a una spesa di centinaia di euro superiore a quella prefissate dai produttori. Altri problemi sono in arrivo: li hanno anticipati già Apple per i suoi prodotti e il presidente statunitense Biden per la stagione degli acquisti natalizi.

Le ragioni per le quali questa crisi ha avuto luogo sono numerose e tutte intrecciate tra loro. Conoscerle può aiutare a capire perché la situazione si stia trascinando anche adesso che la fase acuta della pandemia è alle spalle, e perché la crisi non si risolverà neanche nei mesi a venire.

Le cause della crisi dei chip

La causa scatenante è chiaramente la pandemia di Covid-19, che nel 2020 ha costretto parecchi dei siti fornitura di questi chip a chiudere i battenti per settimane. Alcuni produttori di dispositivi hanno tentato di anticipare l'incertezza all'orizzonte prenotando tutti i chip che era possibile prenotare e causando così una coda di ordinativi impossibile da smaltire rapidamente anche in condizioni normali. Altri produttori, in particolare nell'industria automobilistica, hanno invece inizialmente annullato i propri ordini e faticano ora a riprendere posto in una catena di approvigionamento che si è riconvertita alla produzione di chip destinati ad altri beni di consumo.

In questo scenario già critico bisogna aggiungere che la crisi pandemica ha influito anche sul funzionamento dei canali di trasporto di queste componenti presso i loro clienti. Alcuni porti sono rimasti chiusi per mesi e – nei casi peggiori – rimanendo impossibilitati a stoccare le merci in attesa di partenza, ma  anche altri snodi tipici del trasporto merci hanno subito sorti analoghe – generando ritardi nelle consegne in costante accumulo a ogni passaggio, e facendo lievitare i costi necessari a mettere in movimento le merci in tutto il mondo.

Una ulteriore criticità è rappresentata dal fatto che i costruttori di dispositivi elettronici hanno raramente bisogno di un solo chip per i propri dispositivi: a seconda del prodotto possono servire decine, centinaia o migliaia di componenti elettroniche che devono probabilmente arrivare da più fornitori, ciascuno dei quali può avere accumulato decine di ordini da evadere. Se manca anche solo una componente, il prodotto non è pronto per l'assemblaggio e la vendita. In molti casi, a fare le spese di questa situazione non sono neppure già gli utenti finali, ma altre aziende che per i propri prodotti hanno bisogno di prodotti che contengono i chip introvabili.

A questo si aggiungono eventi climatici e altri imprevisti che in questi ultimi mesi hanno colpito alcune dei più importanti snodi di approvigionamento del settore, rallentando ulteriormente il ritorno alla normalità: a febbraio, in Texas, il colosso coreano Samsung ha interrotto le operazioni a causa di tempeste e gelate che hanno provocato problemi alla rete elettrica locale; pochi mesi dopo a Taiwan settimane di siccità hanno fermato una produzione che necessita di grandi quantità di acqua; la giapponese Renesas è rimasta ferma mesi a causa di un devastante incendio che ne ha colpito gli impianti.

Un sistema traballante

Per molti esperti la pandemia è stata solamente la proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso di una situazione insostenibile già da anni e causata da più fattori: da una domanda di chip in aumento costante a una crescita non altrettanto veloce del numero di siti produttivi pensati per soddisfarla, passando per la decisione degli Stati Uniti di impedire alle aziende locali di fare affari con la cinese Huawei, che ha costretto quest'ultima a inondare di ordini tutti i siti produttivi rimasti esenti dal provvedimento. Come i sistemi sanitari globali – in crisi da anni ma rimasti sostanzialmente in piedi fino all'avvento di Covid-19 – anche le catene di approvigionamento dei chip hanno insomma mostrato le loro debolezze una volta messe veramente sotto stress dalle pesanti fluttuazioni e incertezze causate dalla della pandemia.

Cosa succede adesso

Costruire nuove fabbriche per incrementare l'offerta è un processo lungo ed estremamente costoso, tanto che i produttori prevedono che prima di tornare a capacità produttive in linea con la domanda attuale potrebbero passare almeno due anni. La situazione si stabilizzerà gradualmente, con eccezioni inevitabili che si possono prevedere per beni di consumo particolarmente richiesti e in periodi dell'anno di forte domanda: le console da gioco e la stagione natalizia in arrivo rappresentano due esempi validi al riguardo. Auto, elettrodomestici e prodotti di elettronica in definitiva non saranno introvabili, ma per avere proprio quelli desiderati potrebbe occorrere attendere più tempo del normale o essere disposti a pagare più del previsto.

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