Peter Thiel choc: “finanzio solo chi abbandona gli studi”, serve ancora l’Università?
Lo confesso: nutro una personale antipatia nei confronti di Peter Thiel (fondatore ed ex CEO di Paypal). E non tanto per l'ormai stantia e ripetitiva crociata contro l'istruzione (o meglio non solo), ma soprattutto perché ho l'impressione che dietro ogni sua battaglia si celino principalmente tre cose: il desiderio di far parlare di sé, la voglia di "stupire" (nel bene e nel male), una sottile vena di ipocrisia e un'agenda neanche tanto hidden che non mi piace per niente. Chiariamoci, Thiel è un ottimo imprenditore, un uomo capace di grandi intuizioni e dall'indubbio talento. Ma se avesse avuto solo il talento non sarebbe lì dov'è.
Qualcuno sostiene che Peter Thiel sia uno di quegli uomini in grado di "vedere le cose prima che accadano" (basti pensare al crollo del Nasdaq nel 2000) ma questo non accade solo perché è "naturlmente brillante", non accade perché ha un "dono" di tipo mistico, ma anche perché ha potuto formarsi e sviluppare un pensiero critico studiando alla Stanford University (50.000 dollari l'anno di retta) conseguendo una laurea in Filosofia e un dottorato in Giurispudenza; accade perché (magari) ha imparato fin da bambino a giocare a scacchi (a 21 anni era tra i migliori giocatori del paese); accade perché ha potuto fondare e dirigere la celebre rivista filo-conservatrice The Standford Review; accade perché all'Università ha conosciuto persone di valore che si sono poi rivelate determinanti per la sua carriera, non accade perché, a meno di vent'anni, ha fondato una startup di successo.
E allora perché continua a martellare sul fatto che i ragazzi statunitensi debbano abbandonare gli studi superiori per dedicarsi "all'azione pura"?
Lui avrebbe potuto farlo all'epoca. Se avesse avuto una grande idea, potendo frequentare fin da giovanissimo il circolo di "quelli che contano", non avrebbe avuto difficoltà a trovare finanziatori, così come non ne ha avute Mark Zuckerberg, così come no ne avrebbe chiunque avesse una grande, straordinaria idea (o quasi).
Quello che Thiel non dice mai è che le grandi idee (quelle davvero rivoluzionare) non fioccano al ritmo di una nevicata invernale, non vengono in mette a tutti gli sbarbatelli che "invece di perdere tempo con l'Università" si siedono in un angolo e pensano, sperimentano, si spremono le meningi fino a sanguinare dal naso. Esiste una componente che si chiama "genio" che è rara e che trova (quasi) sempre il modo per farsi avanti. Tutti gli altri, i comuni mortali, la stragrande maggioranza delle persone (Thiel compreso) hanno bisogno di studiare, conoscere, informarsi, ampliare gli orizzonti, confrontarsi. E spesso riescono anche meglio dei "geni puri", purché insistano nel migliorare se stessi e la propria mente. Peter Thiel potrà perseverare finché lo desidera nel tentativo di convincere i ventenni statunitensi (che dovrebbero pretendere una riforma dell'istruzione che consenta a tutti un accesso gratuito agli studi e non certo l'abolizione dell'Università) che chiunque può fondare una straordinaria startup di successo a diciannove anni, ma non è così, e lui lo sa benissimo. Non possono farlo tutti perché non tutti vengono baciati da un'idea che potrebbe cambiare il mondo. Gli altri devono pensare, studiare e alimentarsi del confronto con persone che nutrono le medesime passioni e aspirazioni.
Lo sa bene perché fu proprio lui a sostenere, da convinto e praticante liberista, "che libertà e democrazia non vanno d'accordo", che le persone non sono tutte uguali e che offrire a chiunque il diritto al voto non è una garanzia di miglioramento delle società. Peter Thiel è, da sempre, promotore del governo delle élite, è un accanito sostenitore delle lobby e in che modo le lobby conservano immutata la loro potenza? Mantenendo lo status quo. Lasciando che ad accedere siano un numero controllato e selezionato di individui, una precisa categoria di persone. Gli altri vengono prima spinti a provare (perché tutti possono riuscire, giusto?) così quando falliranno dovranno incolpare "solo se stessi" ed accontentarsi di vivere un gradino sotto e senza fiatare, perché questo è ciò che meritano per non essere riusciti in qualcosa per cui "basta provare, agire, essere audaci"… Tanto potranno comunque tentare nuovamente la scalata attraverso la successiva generazione, no?
Ma tutto questo sarebbe inapplicabile, per non dire ingestibile, se tutti gli esseri umani fossero teste veramente pensanti. Se avessero coscienza di come funziona il mondo, di cosa accade e di come si muovono i potenti. Perché questo sistema si realizzi occorre che la maggior parte della gente viva cretina e felice, perché tanto studiare non serve a niente, tanto vale spremersi nel tentativo di trovare una bella idea e poi cercare un finanziatore che senza dubbio scommetterà su di noi. E se poi non succede, un posto da cameriere lo si trova sempre.
Ora provate a fare una piccolissima riflessione. Se le parole di Thiel si trasformassero in realtà è i diciannovenni statunitensi provassero (ognuno per proprio conto) a svilupparee idee imprenditoriali rinunciando agli studi, quanti Mark Zuckerberg ci sarebbero e quanti camerieri? E dobbiamo forse credere che quelli che non riescono sono degli stupidi che non potevano aspirare ad una posizione migliore nella vita?
Se davvero Peter Thiel avesse voluto promuovere l'azione rispetto allo studio-fine-a-se-stesso non avrebbe obbligato vincitori del concorso di idee da lui ideato (20 under 20) ad abbandonare gli studi per due anni, ma ne avrebbe finanziato i progetti lasciandoli liberi di decidere se fare entrambe le cose: lavorare e continuare a studiare. Il nostro Andrea Giannangelo (ad esempio) è la prova di come sia possibile laurearsi e startuppare quasi contemporaneamente. Che cosa ci sarebbe di male? Perché obbligare i vincitori a lasciare l'Università? Che cosa si intende comunicare alle nuove generazioni? Che basta voglia di lavorare e si può diventare anche presidenti?
Non è la prima volta che qualcuno cerca di promulgare eresie di questo tipo. Una volta si chiamava "sogno americano" ed è stato dichiarato morto molto tempo fa.
La verità è che Peter Thiel non sta solo bandendo un concorso attraverso la fondazione che porta il suo nome, sta promuovendo un'idea reazionaria che va ripetendo da anni. Fino alla nausea. In tutte le salse. E siccome pochi mesi fa ospitava la cena dei 12 guru tecnologici con Barack Obama, credo sia lecito preoccuparsi. Almeno un po'.
Qualcuno dovrebbe insistere sul principio che non basta avere idee e voglia, occorre migliorarsi sempre, studiare, allargare gli orizzonti della propria mente, imparare a pensare in molteplici direzioni, coltivare il dubbio…
E se l'Università ha smesso di offrire tutto questo, allora sarebbe ora che ricominci. Le nuove generazioni procedono a gran passi verso l'ignoranza, il livello degli istituti formativi è calato drammaticamente così come l'attitudine dei giovani all'impostazione "classica" dell'istruzione. Ma occorre riformare, non abolire o delegittimare l'enorme importanza che lo studio ha nella formazione di esseri umani civili ed evoluti. Promuovere l'abbandono degli studi invece di una seria e radicale riforma dell'istruzione significa promuovere un modello di società in cui pochi fortunati vengono eletti a membri delle lobby e tutti gli altri si perdono nella rincorsa di un sogno che è del tutto impossibile senza un'adeguata formazione culturale. O almeno lo è per la maggior parte delle persone.
Qui non si tratta di una lotta tra laureati e non laureati per scoprire chi sia il migliore. La laurea non c'entra e l'istituto universitario neppure. Non tutti trovano nell'Università l'ambiente per imparare ciò che sarà utile ad affrontare vita, lavoro e relazioni. Non intendo affatto sostenere che l'Università si debba fare se si vuole accedere a posizioni di rilievo, ma svuotare di senso la formazione superiore definendola "inutile" è inaccettabile. L'istruzione superiore è vecchia quando la democrazia, risale agli albori (sarebbe meglio dire ai fasti) della civiltà umana evoluta e metterla in discussione in toto (e non in un'ottica riformatrice) non ha alcun senso. Qui si discute del valore che si dà al pensiero, allo studio e alla conoscenza che precedono l'azione. Certo, occorre lavorare sui modelli di formazione per evitare che il pensiero inibisca l'azione, che l'istruzione si trasformi in un ammasso di inapplicabili e sterili teorie, ma la soluzione non è certo liberarsi dell'istruzione superiore! E se credete che non fosse questo ciò che Peter Thiel intendeva davvero vi invito a riascoltare le dichiarazioni rilasciate poco più di due mesi fa, in cui sosteneva che l'educazione superiore fosse "sopravvalutata" e paragonava il "mito" della validità dell'istruzione alla favola di Babbo Natale…
Ora: che l'università statunitense (così come quella italiana) vada riformata da capo a piedi in modo da renderla più accessibile, più adeguata ai tempi e meno gerontocratica non ci piove, ma l'idea di abolirla non è solo una boutade è un attentato alla democrazia (anche questo un istituto piuttosto inviso a Thiel che, per sua stessa ammissione, sarebbe più propenso all'oligarchia). E questo concorso per "idee" non è altro che un cavallo di troia, un oggetto luccicante al cui interno si cela un pensiero pericoloso e devastante che non deve trovare terreno fertile in coloro che sono (giustamente) insoddisfatti del livello di istruzione che hanno ricevuto.
La maggior parte delle grandi idee (e Zuckerberg ne è la prova più che l'eccezione) nascono dalle infinite discussioni con i coetanei, dal vivere giorno e notte in compagnia di persone che ci sono affini e con le quali potersi confrontare costantemente mentre si studia. Non mi servono molti esempi per provare il punto, volendo restare negli USA -alle cui università è principalmente rivolta l'invettiva di Thiel- mi basta un piccolo acronimo: MIT (Massachussets Institute of Technology). Per un solo Zuckerberg non laureato (che diventa sì l'uomo più ricco del mondo, ma deve ai pochi mesi passati a Standford l'idea che gli ha cambiato la vita) il MIT sforna ogni anno decine e decine di menti che cambiano il mondo in modo palpabile e che rendono possibile tutto quanto chiamiamo "innovazione", persino Facebook. Forse nessuno conosce i loro nomi, ma è lì che si cambia il mondo, è in quel laboratorio permanente di studio, confronto e sperimentazione che nasce il futuro. Non certo alla corte di Peter Thiel.