Provider sul piede di guerra: “Stop al blocco preventivo dei siti”
Nonostante la rete sia entrata a pieno regime nella nostra vita quotidiana, la legislazione relativa appare ancora insufficiente e spesso inadeguata a rispondere alle esigenze di aziende, provider e consumatori. La dimostrazione risiede nelle sentenze contraddittorie che gli stessi tribunali emettono di continuo, rendendo il quadro generale sempre più confuso.
A creare il caos legislativo, soprattutto questioni che riguardano i copyright, argomento che da sempre ha creato malumori e piccoli terremoti, dividendo l'opinione pubblica tra coloro i quali sono per la tolleranza zero (quasi sempre aziende) e chi invece invoca il web come un terreno dove la legislazione tradizionale non può essere applicata in maniera ortodossa.
Prendiamo ad esempio il recente caso che ha coinvolto Moncler, storica azienda di abbigliamento, che ha chiesto (ed ottenuto) dal tribunale di Padova il sequestro preventivo di quasi 500 domini, rei di contenere all'interno del loro nome quello del marchio dei famosi piumini.
Per carità, le aziende soprattutto in periodi di crisi come quello che stiamo attraversando hanno tutto il diritto di far valere le loro ragioni contro la piaga della contraffazione, ma a rendere singolare l'episodio è il fatto che solo una piccola parte dei siti oscurati in realtà utilizzavano il brand per promuovere merce non originale. I domini infatti sono stati oscurati in maniera preventiva prima che le indagini potessero aver dimostrato eventuali illeciti.
Solo contenere la parola “Moncler” all'interno del nome del sito è bastato al giudice per ordinare il blocco cautelativo in attesa di verificare eventuali reati, una decisione incomprensibile visto che alcuni di questi indirizzi portavano a siti non attivi oppure erano “a favore” del marchio, come IloveMoncler, Monclerfans e così via.
A rendere ancora più caotica la situazione c'è il pericolo del precedente; applicando la sentenza all'intero panorama web, migliaia di siti, a partire da eBay, sarebbero costretti a chiudere migliaia di pagine, in quanto anche un annuncio di vendita per un Moncler usato, di fatto, prefigurerebbe un'ipotesi di reato (e la conseguente chiusura preventiva della pagina).
Anche la libertà di espressione potrebbe essere messa a repentaglio, in quanto il medesimo blocco potrebbe riguardare pagine di utenti che raccolgono opinioni su di un determinato prodotto, a prescindere che siano o meno a favore del marchio. Basti pensare al sito Alitaliasucks.com, dove un italo-americano ha raccolto le opinioni (quasi sempre negative) e le storie dei disagi dei passeggeri della nostra compagnia di bandiera senza che nessun tribunale sia riuscito ad imbavagliarlo.
Oltre agli utenti, a pagare le spese di questo bailamme legislativo sono i provider, diventati ormai bersaglio continuo da parte delle aziende e la cui responsabilità relativamente a quanto pubblicato aumenta ogni giorno che passa. La pratica della chiusura preventiva dei siti poi, oltre che portare un danno economico ai gestori, risulta anche legalmente poco giustificata, in quanto scatta prima che si prefigurino eventuali illeciti, oltre ad obbligare i provider ad un monitoraggio costante e continuo, impresa assai ardua dinnanzi ai miliardi di pagine presenti sul web.
Su queste ragioni il tribunale di Padova, lo stesso che aveva imposto il blocco dei 500 siti su richiesta di Moncler, con molta probabilità accetterà nei prossimi giorni il ricorso presentato in maniera congiunta da Aiip, Assoprovider e Cwnet, annullando il sequestro dei domini. Come è giusto che sia le indagini vanno avanti per verificare se alcuni di questi siti hanno effettivamente violato la legge, ma nel frattempo anche il pubblico ministero che si occupa del caso sembra propendere per il ripristino delle pagine almeno fino ad una eventuale sentenza di condanna.
Rimane di sicuro il problema del blocco preventivo, una pratica ormai consueta e che non riguarda soltanto le decisioni imposte dai tribunali, ma spesso iniziative autonome dei provider stessi per evitare qualsiasi tipo di problema legale. È il caso che ha riguardato qualche tempo fa Mediaset e YouTube, dove il network televisivo ha intimato (minacciando la denuncia) la chiusura dell'intero canale video dell'Unione Nazionale Consumatori a causa di due filmati pubblicati sul portale di videosharing estratti dalla trasmissione “Le Iene” in cui era lo stesso presidente dell'UNC ad essere intervistato.
Invece di rimuovere i due filmati “illegali” YouTube ha pensato bene di chiudere in via cautelativa l'intero canale (nel quale vi erano numerosi contenuti prodotti dall'UNC e privi quindi di vincoli di copyright) e solo un'istanza d'urgenza al Tribunale di Roma ha convinto il portale video ad un parziale dietrofront.