La piazza intesa come agorà è di certo una delle strategie più interessanti di Apple in merito ai suoi store. L'idea che il negozio non sia più un semplice luogo di acquisto ma anche uno spazio in cui far incontrare competenze differenti è un cortocircuito che, se curato a modo, può portare a situazioni estremamente interessanti. E Apple, ormai dovrebbe essere chiaro, le cose le sa curare a modo. È ciò che ho sempre trovato efficace delle attività della mela, la cui capacità comunicativa sembra trasmettersi costantemente a tutto ciò che gli gravita attorno, dai ragazzi che studiano alla Developer Academy di Napoli agli artisti invitati a parlare dei loro lavori all'interno del nuovo Apple Store di Piazza Liberty a Milano, primo vero flagship store italiano dell'azienda che ha di fatto resuscitato una piazza milanese fino ad oggi fondamentalmente inutilizzata.
All'inizio, lo ammetto, ero scettico sui workshop. Passino concerti e proiezioni nel grande spazio esterno, ma i singoli incontri con gli artisti – nel caso di questa settimana in concomitanza con il grande festival internazionale The Big Draw – mi sono spesso sembrati pitch sotto copertura delle nuove funzioni dei prodotti della mela. E in fondo per certi aspetti è così. Poi però ho partecipato ad uno di questi incontri, i Today at Apple. In particolare, quello con Filippo Fontana, un illustratore veneziano ma cresciuto a Bruxelles e laureatosi al London’s Royal College of Art. Orario post lavoro, dalle 18:30 alle 20 circa, perfetto per chi si lascia l'ufficio alle spalle e ha voglia di fare qualcosa di diverso prima di tornare a casa.
Lo store è più saturo di quanto mi aspettassi. C'è tanta gente seduta sui gradoni esterni e ancora di più tra i banchi perfettamente allineati dello store sotterraneo. In fondo alla sala, invece, c'è più tranquillità. È dove Apple ha posizionato il maxischermo con una cinquantina di sedute in legno e pelle. L'incontro, ovviamente, si svolge in questo spazio, vicino ma isolato virtualmente dal resto del negozio e dagli acquirenti. Al workshop si presentano circa 30 persone: qualche italiano ma anche qualche straniero, ragazzini e uomini sui 50 anni, con forse un leggero sbilanciamento verso il pubblico femminile. Mi siedo per ascoltare il discorso di Filippo, che per i primi 30 minuti racconta la sua arte e le idee dietro alle illustrazioni: i suoi fumetti puntano molto sullo humour e rappresentano con ironia la povertà dei nuovi ricchi. Molto attuali e molto accattivanti.
Poi arriva il momento interessante: la prova. È di certo il momento più attivo per il pubblico e anche quello dove capisco di non aver capito niente dell'incontro. Tiro fuori il mio iPad e subito mi richiamano: i tablet li dà Apple a tutte le persone presenti, Apple Pencil compresa. In breve, puoi andare al workshop e lavorare sui prodotti senza per forza possederne uno. Ha senso e in effetti è sempre stato così negli Apple Store. Metto via l'iPad. A questo punto l'artista è libero di proporre ciò che vuole; Filippo, per esempio, sceglie di dividere tutti in gruppi di quattro persone e di proporre una storia in comune da disegnare a otto mani. L'iPad mostra un foglio bianco suddiviso in quattro riquadri e riportante un tema, ognuno di noi deve disegnare in uno dei quadrati per un totale di 4 tematiche raccontate da 4 teste diverse. Funziona perché stimola il rapporto tra gli spettatori, anche se si è andati lì da soli. Alla fine Filippo fa scegliere una tematica a gruppo e le mostra sul maxischermo, creando un dibattito tra artisti e spettatori delle varie storie.
È un approccio interessante alle iniziative che un'azienda può attuare all'interno dei propri negozi. Anche e soprattutto perché di fatto lascia spazio al singolo artista di gestire il modo in cui porsi nei confronti del pubblico e, almeno nel caso di Filippo, punta a creare interazione tra chi va ad assistere al workshop. È interessante anche nel contesto del rinnovamento del luogo in sé, soprattutto se si conosce la storia di Piazza Liberty, da anni rivalutata a livello visivo ma di fatto mai utilizzata dalla comunità milanese perché in una zona "nascosta" del centro. Dall'apertura dello Store, invece, la piazza è diventata un punto di passaggio vivo per la prima volta da decenni, sempre piena di persone sedute sui gradoni o accanto alla fontana. O di passaggio per assistere ad uno degli incontri nel negozio sotterraneo. E allora vogliamo davvero fomentare le sterili critiche sulla trasformazione di un luogo cittadino da parte di un brand americano? Perché i milanesi, quelli che la città la vivono quotidianamente, sembrano aver abbracciato questa nuova presenza senza troppi problemi.