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Spotify denuncia Apple all’antitrust Europea accusandola di pratiche anti concorrenziali

Il servizio di streaming musicale afferma che la quota del 30% da corrispondere a Apple su ogni abbonamento effettuato da app scaricate nell’App Store sia una vera e propria tassa che impedisce lo sviluppo di una concorrenza sana all’interno dell’App Store, soprattutto dal momento che la stessa Apple offre un servizio avversario come Apple Music.
A cura di Lorenzo Longhitano
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È improvvisamente scontro aperto tra Spotify e Apple. Il servizio di streaming di origine svedese ha lanciato in queste ore un'offensiva su più fronti nei confronti della casa di Cupertino, con un obbiettivo ambizioso: far cambiare le regole che vigono all'interno dell'App Store di Apple affinché gli sviluppatori non debbano più corrispondere a Apple il 30% dei guadagni provenienti da chi si abbona o si iscrive ai servizi offerti dalle loro app.

Come annunciato dalla stessa Spotify, il gruppo ha denunciato la situazione alla Commissione Europea. La percentuale da corrispondere a Apple — è la tesi della piattaforma di streaming — rappresenta una "tassa" che costringe la società ad alzare i prezzi ai quali offre il proprio catalogo in abbonamento. Il tutto mentre Apple, che offre il suo Apple Music in concorrenza diretta con Spotify, può praticare prezzi più bassi e ottenendo margini di guadagni più alti. Alla denuncia si accompagna l'apertura di un sito web e la pubblicazione di un video su YouTube che si rivolgono invece agli utenti comuni, per tentare di sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema ed eventualmente fare fronte comune con altri sviluppatori scontenti.

Agli organi europei Spotify chiede tre cose: di lasciare che gli utenti possano scegliere direttamente all'interno dell'app quale piattaforma di pagamento utilizzare per acquistare eventuali abbonamenti; di essere messa in contatto diretto con i propri utenti senza che siano gli store digitali a fare da mediatori, e in generale di poter competere con le piattaforme avversarie sulla base del proprio valore, e non sulla base di chi è proprietario del negozio virtuale nel quale è ospitata l'app.

Apple dal canto suo non ha ancora rilasciato dichiarazioni, ma è difficile rinunci spontaneamente a tenere la propria posizione: in un mercato smartphone a crescita sempre meno sostenuta, la società si sta giustamente adoperando per potenziare le fonti di ricavi che provengono dai servizi offerti agli utenti, e tra queste fonti ci sono sia gli abbonati a Apple Music, sia gli sviluppatori che le corrispondono il già citato 30% sugli acquisti di app e beni digitali.

La parola ora è alla Commissione Europea, che dovrà decidere se aprire un'indagine sulla vicenda e se eventualmente procedere con sanzioni nei confronti del gruppo statunitense. Se l'operazione dovesse avere esito positivo per Spotify, si tratterebbe di un precedente significativo — non solo per molte delle app presenti sull'App Store, ma anche per quelle che risiedono negli store digitali di proprietà di altre aziende.

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