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Startup e Venture Capital, l’Italia ferma da 5 anni

Reso noto il “Global Venture Capital and Private Equity Country Attractiveness Index 2011”, una sorta di classifica che indica la validità di una nazione come terra di investimenti del settore VC e Private Equity. L’Italia mantiene la stessa posizione (bassa) dell’ultima rivelazione, risalente al 2006.
A cura di Angelo Marra
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L'Italia non è terra di investimenti. Impietoso è il quadro descritto dal "Global Venture Capital and Private Equity Country Attractiveness Index", la classifica elaborata dall'Università di Navarra in collaborazione con Ernst&Young che fotografa la condizione di appetibilità di ogni paese per ciò che riguarda gli investimenti nel campo del venture capital. Il rapporto si basa principalmente su sei indicatori principali; il livello di attività economica, grandezza e liquidità dei mercati azionari, livello di tassazione, grado di protezione degli investitori, contesto umano e sociale, cultura e opportunità di impresa.

Il termine di paragone con cui è stata realizzata la classifica sono naturalmente gli Stati Uniti, paese che non fa segnare la crescita maggiore ma dove avviene la maggior parte di investimenti di questo tipo, a cui è stato assegnato il valore 100. L'Italia per capirci si trova al 32esimo posto con 59,6 punti ma a preoccupare è il fatto che la posizione sia rimasta stabile negli ultimi 5 anni (il precedente report infatti è del 2006 e piazza il nostro paese allo stesso livello). A fronte di un miglioramento nell'ultimo lustro in termini di tassazione e attività economica a crollare è il livello di protezione degli investitori e il contesto umano e sociale. Sotto accusa nello specifico c'è un sistema contributivo complesso e arzigogolato che favorisce inevitabilmente la diffusione del lavoro nero e dell'evasione fiscale, condizione che spaventa gli investitori e danneggia quanti ambiscono a fare impresa.

A crescere maggiormente invece sono state economie emergenti come Cina, Malesia e Sudafrica ma anche Tunisia, Marocco e Arabia Saudita; tuttavia, rimanendo nell'area europea, peggio di noi c'è solo l'Irlanda, il Lussemburgo e la Grecia mentre altri paesi come Francia, Belgio, Austria e Portogallo fanno segnare tutti trend positivi. Una situazione critica, quella dell'Italia, che stride con la fervente attività del mondo delle startup nostrane, divenute negli ultimi due anni una realtà impossibile da ignorare. Persino le istituzioni, nonostante le canoniche lungaggini che le contraddistinguono sembrano essersi accorte dell'esistenza dell'universo startup, con il Ministro Passera intenzionato ad istituire un portale interamente dedicato a loro.

Il problema rimane sempre quello, i soldi; solo due terzi dei progetti riescono ad avere “udienza” tra gli investitori ma sono molti meno quelli che incassano i finanziamenti per avviare l'impresa. Nel 2011 gli investimenti raccolti sono stati addirittura l'8,5% in meno rispetto allo scorso anno, nonostante manifestazioni come Working Capital abbiano dimostrato come stia crescendo la voglia di impresa e – naturalmente – la necessità di fondi per sostenerla. I finanziamenti pubblici sono ovviamente una parte esigua di quelli necessari per coprire la richiesta ma tra gli investitori regna la prudenza e recentemente Confindustria Digitale ha avanzato alcuni suggerimenti al Governo come sgravi fiscali e riduzione dell'Iva per incentivare il settore nella speranza di risalire la china.

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