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Una ex-moderatrice di Facebook denuncia l’azienda: “Traumatizzata dai contenuti violenti”

La ex-moderatrice di Facebook Selena Scola vuole lanciare una class action contro Facebook, rea di non fornire una adeguata assistenza psicologica ai suoi moderatori, costretti a subire enormi stress dovuti alla visione di contenuti molto crudi, come quelli pedo-pornografici o che incitano all’odio e alla violenza.
A cura di Juanne Pili
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Sono in tanti a pensare che Facebook fosse di manica larga nella moderazione di certi contenuti, specialmente per quanto riguarda immagini e video, con non pochi errori dovuti al fatto che gli algoritmi utilizzati nella prima scrematura non potessero discernere l’ironia o il nudo artistico. Così spesso ci si è lamentati del fatto che certe immagini violente potessero passare la censura, mentre basterebbero un paio di capezzoli per vedersi un post rimosso. Spesso non ci si rende però conto di quanto avviene nel dietro le quinte, dove moderatori in carne ed ossa si trovano a dover fare il “lavoro sporco”, cercando di arrivare là dove gli algoritmi non arrivano.

Non deve stupirci allora se recentemente Selena Scola – ex-moderatrice di Facebook – ha deciso di intentare una class action contro il social network, che non garantirebbe una adeguata assistenza psicologica ai suoi moderatori, i quali subirebbero pesanti traumi dopo una visione prolungata di contenuti che noi non vedremo mai: immagini pedo-pornografiche, video di cruda violenza, bullismo e quant’altro la perversione umana possa offrire mediante immagini.

Il difficile lavoro dei moderatori

Solo nei primi mesi di quest’anno sono ben 21 milioni i contenuti di nudo o palesemente pornografici rimossi dalla piattaforma. Dobbiamo tener conto anche di tre milioni di post violenti o che incitano alla violenza, infine si contano 2,5 milioni di post che incitano all’odio; parliamo del cosiddetto “hate speech”. Quel che vediamo noi invece è solo la punta di un iceberg frutto di errori degli algoritmi o eccesso di zelo di alcuni admin, i quali – se quanto riportato dalla “gola profonda” risultasse vero – potrebbero non essere tutti nelle condizioni psicologiche ideali per assolvere il loro compito. Così a noi potrebbe sembrare che spesso i capezzoli vengano censurati, mentre certe immagini violente – magari provenienti da teatri di guerra – resterebbero intoccabili. Tenuto conto del numero di utenti che ogni giorno popolano Facebook (2,2 miliardi di utenti attivi al mese secondo recenti stime), quello degli admin è un lavoro che deve ricordare molto quello di qualcuno che tenta di svuotare l’oceano con un secchio.

Il burnout dei moderatori di Facebook

Se pensiamo a quanto già riportato nei Facebook files del Guardian quanto denunciato dalla ex-admin non è difficile da credere. Avevamo già informazioni riguardo admin mal pagati e privi di assistenza psicologica adeguata. Esiste anche un fenomeno già studiato dagli psicologi definito “sindrome da burnout” la quale coinvolge soprattutto chi opera nel sociale e che può portare facilmente all’esaurimento nervoso, se non opportunamente prevenuta ed affrontata. Così arriviamo oggi alla denuncia di Selena Scola che potrebbe scatenare un nuovo terremoto ai danni di una piattaforma già provata dallo scandalo di Cambridge Analytica. Il suo legale Korey Nelson non ha usato mezzi termini annunciando l’intenzione di avviare una class action:

Facebook sta ignorando il suo dovere di fornire un posto di lavoro sicuro … al contrario, sta costruendo un sistema di porte girevoli di contractor che vengono irreparabilmente traumatizzati da quel che sono costretti a fare sul lavoro.

Facebook non rimane in silenzio, sostenendo che al contrario delle misure a tutela della psiche dei suoi moderatori ci sono sempre state. Questo è quanto afferma anche la direttrice delle comunicazioni dell’azienda Bertie Thomson:

Stiamo esaminando la causa. Riconosciamo che spesso questo lavoro può essere difficile … per questo il supporto ai nostri moderatori di contenuti è una cosa che prendiamo incredibilmente sul serio. Lo facciamo assicurandoci che ogni persona che controlla i contenuti che circolano su Facebook possa godere di supporto psicologico orientato al proprio benessere.

Nel mirino finisce il sistema dei contractor

Quel che si evince da tutta la vicenda è la presenza nel sistema di moderazione attuato da Facebook, di moderatori che non fanno proprio parte dell’azienda ma vengono “assoldati” come “contractor”, ovvero una sorta di impiegati avventizi assunti quando ritenuto necessario per un certo periodo di tempo, questi vengono sostituiti continuamente seguendo un certo turnover. Insomma anche su Facebook esisterebbe la questione dei “lavoratori precari” e non particolarmente qualificati, già messo in evidenza nei sopra citati “Facebook files”.

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