WikiLeaks, atto finale: il “suicidio” di Julian Assange
A prescindere da ciò che ci riserverà il futuro, WikiLeaks verrà ricordata in secula seculorum per la sua opera di rivoluzione nel campo del giornalismo online. La stampa tradizionale da decenni ha ormai perso il suo ruolo di cane da guardia del potere e la rivoluzione tecnologica degli ultimi anni ha creato un universo parallelo molto distante dai reggi-microfoni da cui siamo stati costretti ad essere informati. La rete e il boom dei social network hanno dato vita ad una nuova era in cui non ci si accontenta più di un'informazione passiva, di Stato, di partito o di regime, un'era in cui la censura e il controllo sono armi sempre più deboli nelle mani di chi vuole condizionare il pensiero comune.
Il passaggio verso una nuova fase di trasparenza passa inevitabilmente attraverso la verità; tutta la verità, anche quella scomoda, destabilizzante e politicamente scorretta. Questo è il principio che ha guidato la mano di WikiLeaks e del suo fondatore Julian Assange, consegnato nel bene o nel male alla storia del giornalismo mondiale.
Nessuna delle sacrosante verità pubblicate dal sito ha davvero portato a qualche reale cambiamento. Pur essendo infarciti di rivelazioni imbarazzanti e scandalose infatti, i cablogrammi diffusi da WL hanno ogni volta sollevato un polverone che puntualmente è stato placato dall'establishment minacciato nel giro di pochissimo tempo, come qualsiasi altro scoop del passato. Assange dal canto suo ha subito com'era prevedibile quello che in Italia è tristemente famoso come “il metodo Boffo”, con tanto di canonica accusa di violenza sessuale, uno dei reati che più colpiscono alla pancia delle persone ed escamotage classico per rovinare l'immagine di un personaggio pubblico (Strauss-Kahn docet).
Ma l'era digitale è l'era della verità e della consapevolezza, e per quanto priva di risultati concreti la rivoluzione di WikiLeaks ha scoperchiato il Vaso di Pandora delle istituzioni, soprattutto quella americana, con il torbido e nauseabondo contenuto che ne è uscito fuori. Le classiche telefonate ai direttori dei giornali per far sì che una notizia non sia mai accaduta, magari con cospicuo obolo al giornalista zelante, sono ormai soluzioni inutili davanti al gigante incontrollato ed incontrollabile della rete.
La battaglia contro il “sistema” però è tutt'altro che semplice, come dimostra la storia di WikiLeaks e a volte nella totale buona fede si può compiere il gesto sbagliato e scoprire il fianco al proprio nemico. È questo il caso dell'ultimo atto della campagna del sito di Assange, che ha deciso la pubblicazione in massa su Twitter di tutti i 251.287 cablo di cui era in possesso; una mole enorme di materiale che lo staff di WikiLeaks non ha potuto ovviamente analizzare e catalogare, operazioni affidate proprio ai tweeters, invitati a segnalare le loro scoperte.
Anche se in nome della “verità totale”, la scelta di Assange è stata un vero e proprio suicidio politico. In primis il sito di hacker ha perso d'un colpo tutto il suo potere, diffondendo integralmente il materiale in suo possesso e chiudendo in pratica il ciclo della rivoluzione; una scelta forse sbagliata, visto che l'atteggiamento opposto tenuto finora da WL, con i dispacci responsabilmente centellinati ed affidati di volta in volta alle grandi testate, aveva pagato in termini di autorevolezza per il sito stesso.
Ma a catalizzare le critiche su Assange è stato soprattutto l'aver pubblicato l'intero materiale senza omettere alcune informazioni che potrebbero risultare fatali per attivisti e informatori la cui identità è coperta da segreto. Le critiche non sono venute soltanto dalle istituzioni, com'era prevedibile, ma anche da associazioni di provata onestà e autorevolezza, come Amnesty International e Reporter Sans Frontieres, che hanno accusato Assange di mettere a repentaglio la sicurezza di persone impegnate nella lotta per la libertà nei loro paesi.
L'hacker più famoso al mondo ha motivato la sua scelta sostenendo che il popolo di WL abbia votato per la pubblicazione totale in un sondaggio tenutosi in queste settimane su Twitter, aggiungendo che in seguito alla bagarre con il Guardian non aveva più fiducia nelle grandi testate con cui aveva collaborato finora. Motivazioni che hanno convinto ben poco l'opinione pubblica internazionale, con WikiLeaks che da paladino della verità si è trasformato di colpo in oppositore a 360°, con attacchi indiscriminati e pubblicazioni che non si limitano a svelare gli intrighi di palazzo ma mettono seriamente a repentaglio le vite di chi lotta in prima fila per la libertà. Un vero e proprio attacco kamikaze, dove ad essere colpiti nono sono solo i bersagli tradizionali ma anche civili innocenti o addirittura impegnati per la medesima causa.
Cosa ne sarà ora di WikiLeaks? Quale sarà il futuro di Julian Assange e della sua eredità? Difficile dirlo. Quel che è certo è che l'ultimo atto della rivoluzione di WL ha offerto il fianco a detrattori e a tutti quelli che hanno cercato in questi mesi di delegittimare Assange e il suo operato, una fine indegna per una rivoluzione che ha segnato positivamente una svolta nell'assopito ed asservito mondo del giornalismo e che ora si trova a dover pagare un prezzo altissimo per aver osato mettere in discussione il vergognoso modo di gestire la politica e la diplomazia sulle rive del Potomac.