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Google e il P3P, non solo Safari; spiati anche gli utenti di Internet Explorer

Dopo lo scandalo denunciato dal Wall Street Journal sul tracciamento dei dati da parte di Google per chi utilizza il browser di Apple, anche da Microsoft arriva un’accusa molto simile: Mountain View avrebbe violato le impostazioni di sicurezza spiando l’attività degli utenti a loro insaputa.
A cura di Angelo Marra
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Non accenna a placarsi la polemica che ha investito Google recentemente. Tutto ha avuto inizio con un lungo articolo del Wall Street Journal in cui la prestigiosa testata americana accusava BigG di aver violato la politica di gestione dei cookie su Safari per spiare le scelte degli utenti. Lo stratagemma adoperato da Google è molto semplice e si basa sulla tecnologia P3P, utilizzata dai browser per identificare le diverse policy dei siti in merito alla gestione dei cookie. I browser generalmente lasciano scegliere agli utenti se aderire o meno alle suddette policy, a patto ovviamente che dichiarino realmente la loro funzione. In poche parole Google avrebbe garantito che i suoi cookie non avrebbero recepito alcuna informazione personale, ottenendo così il via libera da parte del browser, anche se la realtà poi era totalmente diversa.

Dopo la denuncia del WSJ Microsoft ha accusato sia Google per il suo comportamento che Apple per la mancata protezione offerta ai propri utenti ma a distanza di pochi giorni ha dovuto ammettere che anche per Internet Explorer il problema esisteva egualmente. Anche gli utenti di IE quindi sarebbero stati tracciati a loro insaputa da Google. Non c'è molto da stupirsi, notoriamente il browser di Redmond è il più insicuro e inaffidabile tra i suoi celebri colleghi come Safari, Firefox e Chrome, ma nella guerra aperta ormai tra i big dell'informatica Microsoft non poteva lasciarsi scappare un'occasione così ghiotta per attaccare Mountain View. Dal canto suo Google si difende affermando che moltissimi altri siti, tra cui Facebook, utilizzano ancora il protocollo P3P, nonostante sia superato ormai da diversi anni.

In pratica la difesa di Google consiste soltanto nello scaricare la responsabilità su una condotta “comune”, come se ciò rendesse meno grave la pesante violazione subita dagli utenti. La faccenda però rischia di non limitarsi solo alle schermaglie tra i giganti della rete e arriva fino alla Federal Trade Commission. Tre membri del Congresso degli Stati Uniti , i repubblicani Cliff Stearns e Joe Barton e il democratico Edward Markey hanno inoltrato richiesta ufficiale alla FTC perchè verifichi il comportamento di Google alla luce prima del caso Safari e ora di quello che ha investito il browser di Microsoft. Un'altra grana per BigG che rischia di finire nuovamente sotto l'occhio implacabile dell'Antitrust e che aggiunge un'altra macchia al curriculum di Mountain View, sempre più costellato di scandali e polemiche.

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