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30 anni di Internet in Italia: siamo stati tra i primi, ma ora siamo il fanalino di coda

È iniziato tutto con un ping. Una manciata di dati che dall’Italia sono arrivati negli Stati Uniti, trasportando un segnale quasi insignificante ma che, in realtà, ha un’importanza storica. Era il 30 aprile 1986 quando l’Italia si è connessa per la prima volta. Perché sul web siamo stati pionieri, ma ora siamo il fanalino di coda.
A cura di Marco Paretti
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È iniziato tutto con un ping. Una manciata di dati che dall'Italia sono arrivati negli Stati Uniti, trasportando un segnale quasi insignificante ma che, in realtà, ha un'importanza storica. Era il 30 aprile 1986 quando, da un router grande quanto un frigorifero, è nata la scintilla di Internet in Italia. Accadeva a Pisa, all'interno del Cnuce, il Centro Nazionale Universitario di Calcolo Elettronico creato dal Cnr nel 1965, per mano di Stefano Trumpy, Luciano Lenzini e Antonio Blasco Bonito. 30 anni fa l'Italia era il quarto paese connesso, mentre ora, nonostante l'internet Day, le promesse di una banda ultralarga e i bandi annunciati dal Presidente del consiglio, siamo il fanalino di coda dell'Europa.

E pensare che al tempo la concezione del web era ben differente da quella attuale. Tanto che, a ripensarci, gli stessi responsabili non sapevano bene quali fossero le reali applicazioni di un network di questo tipo al di fuori del settore militare. Internet non era visto come la rivoluzione che è oggi e che è stata negli ultimi 30 anni, non era il fondamento della nostra quotidianità né uno strumento in grado di agevolarci (o complicarci) la vita. Era "solo" un progetto approdato in Italia nel 1979, quando dalla University of London arrivò una proposta di connessione all'Arpanet, la rete che può essere considerata come una sorta di "antenata" di Internet. L'Italia era destinata ad essere uno dei primi paesi europei connessi, dopo la Norvegia e la Gran Bretagna.

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Per farlo, però, servivano finanziamenti – circa 150 milioni di lire -, hardware e accordi con gli operatori in grado di realizzare l'infrastruttura che consentisse al Cnuce di connettersi ad Arpanet. Quattro anni di lavoro per poi rischiare di perdere tutto: negli Stati Uniti avevano cambiato hardware e, per potersi connettere, bisognava aggiornarsi anche in Italia, con ulteriori investimenti. È a questo punto che il team toscano pensò di rinunciare definitivamente, almeno fino a quando il Dipartimento della Difesa americano non decise di regalargli il router chiamato Butterly – quello grande quanto un frigorifero – in grado di accedere alla nuova rete. L'avvio del progetto non fu comunque semplice, anche a causa dei ritardi causati dal blocco della spedizione da parte della dogana, che fecero slittare il momento fatidico di altri sei mesi. Poi, il 30 aprile 1986, è partito il primo ping verso gli Usa e il 23 dicembre 1987 è stato registrato il primo dominio italiano: cnuce.cnr.it.

L'Italia era il quarto paese in Europa a connettersi ad Internet, un'avanguardia incredibile al tempo, che negli anni ha visto la Rete passare da mero progetto con finalità prettamente militari a vero e proprio strumento di comunicazione di massa. Siamo stati tra i primi, ma siamo finiti tra gli ultimi. A nulla è valso l'aver anticipato il tempo, così come nulla valgono le celebrazioni pompose, le giornate celebrative e gli slogan lanciati sui social: l'Italia oggi è tra gli ultimi paesi europei quando si parla di connessione ad Internet. Se è vero che il 1986 è stato l'anno "in cui l'Italia ha scoperto Internet", come ha scritto il Premier Renzi, lo è altrettanto il fatto che nel 2016 la realizzazione di un'infrastruttura dignitosa abbia preso le forme di un'opera impossibile, un continuo fare e disfare una tela che non porta mai a nulla.

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I piani per la banda ultralarga nascono e vengono bloccati, gli accordi si fanno e si sciolgono, gli hashtag solcano i social e poi spariscono. In tutto questo, secondo il rapporto della International Telecommunication Union, l’Italia è al 49esimo posto nella classifica delle connessioni, con una crescita che si ferma al 2,4 percento contro la media del 3,2 percento. "È la storia di una impresa, realizzata da pochi pionieri all’insaputa di tutti per qualche anno; ed è l’inizio di una nuova possibilità per il nostro Paese. Quella del digitale. E delle connessioni. E della condivisione" scrive Renzi annunciando le celebrazioni per l'Internet Day. Si celebrano i 30 anni di Internet, certo, ma sarebbe bene anche riflettere sinceramente su ciò che è stato fatto per portarlo avanti quel piccolo, grande passo.

Si parla delle "opportunità che ha creato e delle competenze necessarie a difendersi dai pericoli", ma mai della difficoltà quasi angosciante con cui la banda larga avanza sul nostro territorio, del divario che inesorabilmente ci divide dal resto dei paesi europei e degli accordi che allontanano le competenze da chi si è occupato delle infrastrutture per 50 anni. Si parla di bando, l'ennesimo, per la banda larga, ma senza dare date, dettagli, informazioni su quando il rame sarà sostituito dalla fibra ottica.

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Solo un vago "entro il 2020" che accompagna gli annunci da più di due anni: ma se nel 2014 la previsione era il 2020, come può esserlo ancora dopo mesi e mesi di ritardi sull'inizio dei (difficili) lavori? Se il governo mette il progetto nelle mani di un'azienda che non si occupa di infrastrutture, come potrà rispettare i tempi ormai estremamente stretti? E, infine, se l'obiettivo è quello di raggiungere un italiano su due con la fibra ottica a 100 Megabit (ultralarga) e chiunque con una linea a 30 Megabit (larga), non rischiamo in ogni caso di rimanere arretrati se paragonati a nazioni che già oggi navigano a velocità cinque volte superiori alle nostre?

A dirla tutta anche la scadenza del 2020 sembra essere stata messa in secondo piano: nell'intervento di Renzi per l'Internet Day non se ne parla, ci si limita ad un semplice "arriverà", ad un bando lanciato nel calderone della "discussione di oggi al Consiglio dei Ministri" e ad un parlare dei contatori digitali di Enel come "rivoluzione tecnologica" che va di pari passo con la banda larga, dimenticandosi però chi ne fa le spese. “I bandi sono stati scritti di concerto con il Ministero dello sviluppo economico" ha spiegato la società Infratel, cioè quella che gestisce i bandi e sarà proprietaria della rete. "I documenti sono stati trasferiti alle autorità competenti, Anac e Agcom, per un parere”. Insomma, prima di almeno altri 30 giorni non si saprà nulla.

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Ben vengano i festeggiamenti per i 30 anni di Internet in Italia, la celebrazione dei pionieri e la diffusione del concetto di Rete come potente mezzo comunicativo – d'altronde, come ammette lo stesso Trumpy, "serve un cambio di marcia anche nella cultura del paese" -, ma esordire sui social con lo slogan "banda larga ovunque" e promettere di "portare la banda larga nelle zone sfigate" dopo due anni di ritardi, alla fine suona più come una frase buttata lì, giusto perché a questo punto bisogna dire qualcosa per non far sedimentare ulteriormente una situazione già tragicomica. Come lo è la dichiarazione di Renzi su quello che definisce "il buco più grande della storia del giornalismo italiano".

È vero, nel 1986 non uscì nemmeno un paragrafo sulla notizia, ma come ogni cosa questa decisione va contestualizzata. Prima di tutto per la generale e comprensibile sottovalutazione, anche da parte degli stessi responsabili, di una scoperta che sembrava avere risvolti prettamente militari e poi perché quattro giorni prima il mondo era stato scosso dal disastro di Chernobyl, con ripercussioni anche sul nostro paese. Di questo Renzi non ne parla. Dimenticandosi, forse, che 30 anni fa non si poteva inviare un semplice cinguettio con l'hashtag #Breaking come si fa oggi grazie al lavoro di Trumpy, Lenzini e Bonito. Ma alla fine cos'è un tweet se non un ping dall'Italia agli Stati Uniti?

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Giornalista dal 2002 specializzato in nuove tecnologie, intrattenimento digitale e social media, con esperienze nella cronaca, nella produzione cinematografica e nella conduzione radiofonica. Caposervizio Innovazione di Fanpage.it.
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