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Apple, FBI e il contratto sociale sulla privacy che lo stato continua a rompere

“L’FBI sta creando un mondo dove i cittadini si affidano ad Apple per difendere i loro diritti, piuttosto che il contrario”. In due righe Edward Snowden centra in pieno il paradosso dello scontro tra azienda e stato. Ma siamo sicuri di aver capito chi è in malafede?
A cura di Marco Paretti
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"L'FBI sta creando un mondo dove i cittadini si affidano ad Apple per difendere i loro diritti, piuttosto che il contrario". Lo scrive Edward Snowden in un tweet, condividendo la lettera con cui Tim Cook, CEO dell'azienda di Cupertino, risponde con un secco rifiuto alla richiesta del giudice di forzare l'iPhone di uno degli attentatori della strage di San Bernardino, che lo scorso 2 dicembre ha portato alla morte di 14 persone. In due righe Snowden centra in pieno la questione, sottolineando il paradosso di una situazione in cui un'azienda privata si ritrova a dover vestire i panni della paladina della privacy, da difendere dalle continue pretese del governo americano. Ma siamo sicuri di aver capito chi è in malafede?

Se da un lato è vero che in uno scontro del genere Apple ci guadagna anche in immagine – d'altronde quasi tutto il mondo tech si è schierato dalla sua parte – è altrettanto vero che la richiesta del governo va contestualizzata per comprenderne davvero le future ripercussioni. Non perché il concetto di base, quello di individuare eventuali prove nel dispositivo di un terrorista, sia sbagliato, ma perché il precedente creato da questo tipo di collaborazione tra Apple e l'FBI sarebbe pericoloso non solo per la mela, ma anche e soprattutto per l'intero settore tecnologico. Perché creare una backdoor, un ingresso dal retro, per le autorità è un'azione che non può e non deve essere semplificata a tal punto da paragonarla alle serrature delle valige accessibili dagli agenti degli aeroporti.

apple fbi privacy

Farlo vorrebbe dire peccare d'ingenuità; nella nostra valigia è presente sì un gran numero di informazioni personali ed elementi intimi, ma nei dispositivi portatili è ormai contenuta la nostra intera vita. Contatti, immagini, video, lavoro e documenti, ma anche informazioni biometriche come le impronte digitali. Troppo facile paragonare le due cose, anche perché proprio questo accostamento svela il principale elemento che preoccupa il mondo tech: la vulnerabilità. Una valigia sigillata lo è per tutti e per aprirla bisogna forzarla, sempre che sia possibile farlo. L'introduzione di una serratura – anche se in teoria utilizzabile solo dalle autorità – crea una falla nella sua sicurezza: in poco tempo un criminale organizzato può mettere le mani su una copia della chiave in grado di aprire le valige. Impossibile? Assolutamente no, basti pensare che le chiavi universali per aprire gli sportelli dei bancomat si vendono su Alibaba per pochi dollari.

Creare una backdoor nel sistema operativo degli iPhone – o in qualsiasi software di altre aziende – espone i dispositivi allo stesso grave rischio: la chiave digitale, che in teoria dovrebbero possedere solo le autorità, può facilmente cadere nelle mani di un malintenzionato. Come abbiamo già spiegato, inoltre, questa richiesta preoccupa perché il sistema di distribuzione degli aggiornamenti di Apple consentirebbe ai governi di raggiungere chiunque con la versione modificata del sistema operativo. L'inviolabilità degli iPhone, ottenuta con la centralizzazione di hardware e software, rischia quindi di trasformarsi in un boomerang in grado di minare la privacy di chiunque. Tutte le altre realtà, peraltro, si stanno pian piano spostando verso un'impostazione del genere e, se davvero l'FBI vincerà questo scontro, il punto di arrivo sarà ancora peggiore di quello di partenza.

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C'è poi un ultimo, fondamentale punto che va considerato: quello della legittimità delle azioni e delle richieste dell'FBI. È vero, va fatta una netta e ovvia divisione tra criminali e autorità, ma è ormai chiaro che le azioni dei governi non possano essere più indicate semplicemente come "autorizzate". Parlare di contratto sociale tra stato e cittadini, nel 2016 e per questioni relative alla privacy, vuol dire peccare ancora una volta d'ingenuità. Non si possono nascondere richieste come questa dietro alla giustificazione del patto sociale, non se questo contratto è stato più volte rotto in primis dai governi. Lo ha dimostrato lo stesso Snowden con il Datagate: la sorveglianza di massa messa in atto dall'Agenzia per la Sicurezza Nazionale statunitense (NSA) su cittadini e istituzioni non solo è stata tenuta nascosta, ma ha anche svelato un uso indiscriminato degli strumenti di controllo.

Senza contare che, peraltro, stiamo parlando di governi democratici: si pensi alle ripercussioni che il precedente potrebbe avere in realtà tecnologicamente opprimenti come la Cina, la Russia o la Corea del Nord. Non a caso l'oriente sta osservando con interesse lo scontro tra Apple e FBI. Il motivo? Se le autorità statunitensi riusciranno a prevalere, i governi orientali potranno pensare di applicare lo stesso concetto sul loro territorio. Bisogna tenere ben presente questo quando si parla di Apple contro FBI, quando si accusa Cupertino di pensare solo ai suoi clienti e persino quando si difende la lotta al terrorismo. Che è sacrosanta, come lo è la privacy dei singoli.

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Giornalista dal 2002 specializzato in nuove tecnologie, intrattenimento digitale e social media, con esperienze nella cronaca, nella produzione cinematografica e nella conduzione radiofonica. Caposervizio Innovazione di Fanpage.it.
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