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Opinioni

Apple Music, la rivoluzione musicale che non rivoluziona nulla

Sul palco della Worldwide Developers Conference 2015, Tim Cook ha più volte definito Apple Music un prodotto rivoluzionario. Ma dopo nove anni di Spotify, cinque di Rdio e due di Google Music è davvero possibile definire “rivoluzionario” il lancio di un servizio di streaming musicale?
A cura di Marco Paretti
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Tim Cook Apple Music

La notifica dell'annuncio di Apple Music – il servizio di streaming musicale annunciato ieri da Tom Cook – ha raggiunto il mio iPhone mentre tornavo a casa in macchina. Ironicamente, stavo ascoltando l'ultimo album di Florence and the Machine su Spotify; sono uno dei 15 milioni di abbonati al servizio premium, uno dei 15 milioni che Apple vorrebbe portare sulla sua nuova rivoluzionaria piattaforma. "Rivoluzionaria" è una parola che Cook ha ripetuto più e più volte nel corso della conferenza e che altrettante volte si ripete nel comunicato stampa che ha accompagnato l'annuncio. "Apple Music è un rivoluzionario servizio di streaming" è una frase che si è ascoltata e letta già troppe volte nelle ultime ore, ormai cementificata nelle menti degli appassionati della mela. Ma dopo nove anni di Spotify, cinque di Rdio e due di Google Music è davvero possibile definire "rivoluzionario" il lancio di un servizio di streaming musicale?

Ciò che offre Apple è poco più di questo: un servizio in abbonamento per ascoltare senza limiti un catalogo di 30 milioni di canzoni. Come Spotify. L'accesso alle canzoni è subordinato al pagamento di una tariffa mensile di 9,99 dollari. Come Spotify. Sono presenti playlist e stazioni radio in grado di riprodurre musica in maniera automatica. Come Spotify. Certo, diverse playlist saranno curate da "alcuni dei migliori DJ al mondo", ma, in sostanza, saranno semplici playlist. C'è poi la possibilità di comandare la riproduzione tramite Siri, l'offerta per le famiglie – 14,99 dollari per un nucleo fino a sei persone, un'offerta alla quale si adeguerà anche Spotify – e Connect. Quest'ultimo è una sorta di social network riservato agli artisti, i quali potranno condividere testi, foto del backstage, video o presentare il loro ultimo brano ai fan. I seguaci avranno la possibilità di commentare o mettere un Like ai contenuti pubblicati dall’artista e condividerli sui social network. Insomma, una versione ridotta di Ping, il social network fallimentare di Apple. E un'alternativa maggiormente incentrata sugli artisti delle opzioni social offerte da Spotify.

Apple Music

Tutte queste caratteristiche, però, non fanno altro che differenziare di poco la proposta della mela da quella della concorrenza, che a sua volta propone altrettante caratteristiche interessanti – playlist per ogni momento della giornata, Spotify Running e, soprattutto, l'abbonamento gratuito che Apple non offrirà al di là dei tre mesi di prova – che allo stesso modo non elevano il servizio al di sopra di quello presentato da Cook. Il problema è proprio questo: Apple Music non sarà né peggiore né migliore di Spotify, semplicemente sarà un altro servizio di streaming musicale. Nessuna rivoluzione, quindi, se non una piccola interna: quella del passaggio allo streaming sembra essere una mossa ormai obbligatoria per l'iTunes Store e per l'industria musicale, anche perché negli ultimi anni le vendite di musica digitale sono crollate. Definire – nel 2015 – una piattaforma di streaming una rivoluzione, però, è decisamente azzardato.

Apple in realtà non ha fatto altro che continuare con la strategia intrapresa anni fa: individuare un settore in crescita ma non ancora redditizio per poi invaderlo proponendo un prodotto completo e in grado di mettere in difficoltà la concorrenza. È stato così per i lettori MP3, per gli smartphone e per i tablet, ma in questo caso l'appeal di Apple Music è nettamente minore. In parte perché l'approccio dell'azienda di Cupertino nei confronti dell'industria musicale si è scontrato con diverse porte chiuse: Cook voleva convincere le case discografiche a ridurre i costi, a concedergli esclusive importanti e a boicottare l'abbonamento gratuito di Spotify. Tutte strategie fallimentari che non hanno portato a nulla, se non alla creazione di un altro (banale) servizio di streaming.

Apple Music

Il panorama attuale vede apparentemente Spotify in testa, almeno per numero di utenti – 15 milioni di abbonati, 60 milioni di utenti in totale – ma questa è una situazione che potrebbe presto cambiare. In favore di Apple ci sono gli appassionati della mela, i possessori di iPhone e iPad e, elemento fondamentale, gli 800 milioni di utenti che hanno associato i dati della propria carta di credito all'account iTunes. Apple deve "solo" riuscire a convincere questo grande bacino d'utenza a passare al suo servizio di streaming, ma dovrà trovare un elemento davvero interessante per riuscire a raggiungere l'obiettivo sperato di 100 milioni di utenti. Qui il rischio è che la proposta di Apple passi attraverso le esclusive: sul palco della conferenza, Cook ha annunciato che il prossimo album dei The Weeknd uscirà in esclusiva temporale su Apple Music. Se l'azienda di Cupertino proseguirà su questa strada – ci sono alcune ipotetiche esclusive importanti come i Beatles o Taylor Swift, assenti dal catalogo della concorrenza – il pericolo è che il settore diventi troppo frammentato. Nessuno vuole dover pagare tre abbonamenti perché i propri artisti preferiti hanno scelto diversi servizi per pubblicare la propria musica.

Peraltro questo è il punto criticato aspramente dallo stesso Steve Jobs al lancio dell'iTunes Store: "I servizi di streaming vi trattano come criminali" aveva affermato "sono basati sugli abbonamenti e noi pensiamo che gli abbonamenti siano la strada sbagliata da intraprendere". Ironicamente, 12 anni dopo gli abbonamenti sono diventati il futuro dell'iTunes Store. Un'evoluzione più che una rivoluzione, la quale ha come vero punto forte il fatto che, a partire dal prossimo 30 giugno, l'applicazione dedicata apparirà su centinaia di milioni di iPhone. Volenti o nolenti, gli utenti dovranno raffrontarsi con questa nuova realtà, ma starà ad Apple convincerli ad utilizzare (pagando) la sua applicazione e non quella (gratuita) della concorrenza. Che ha già più volte conquistato gli appassionati di musica, me compreso. Arrivato a casa, mi sono perso per un momento all'interno dell'applicazione di Spotify: le mie playlist, i miei contatti e il mio abbonamento attivo da ormai due anni. Apple Music mi offre davvero qualcosa di più? Sarò disposto ad abbandonare tutto per il servizio della mela? Probabilmente no, ma Apple ha ancora 20 giorni per convincermi. E convincere voi.

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Giornalista dal 2002 specializzato in nuove tecnologie, intrattenimento digitale e social media, con esperienze nella cronaca, nella produzione cinematografica e nella conduzione radiofonica. Caposervizio Innovazione di Fanpage.it.
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