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Chi possiede Facebook (e tutti i nostri “io” virtuali)?

Chi sono i proprietari di Facebook? Quanto potere decisionale resta nelle mani di Zuckerberg e quali altri interessi potrebbero guidare l’evoluzione del social network? Senza voler promuovere scenari apocalittici, seguiamo due semplici princìpi: la conoscenza è potere, e la consapevolezza è “dio”.
A cura di Anna Coluccino
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proprietari di Facebook

Da qualche settimana, diciamo pure dalla presentazione della Timeline, mi vortica nella testa una domanda a tratti inquietante: dopo il bailamme di investimenti di cui è stato protagonista Facebook in questi anni, quanto è rimasto a Mark Zuckerberg della sua azienda? Non sarà che il giovane CEO si è trasformato nel simbolico volto dell'intraprendenza e del genio giovanile mentre le decisioni in merito all'evoluzione del social network e alle strategie d'impresa vengono prese da altri?

Che Facebook possieda le nostre identità virtuali non è in discussione, e se -come effettivamente accade- siamo noi a consegnare al social network le chiavi di casa nostra e lo facciamo in piena consapevolezza, secondo l'opinione più diffusa, non ci sono problemi etici di alcun tipo. E ammettiamo pure che sia così. Resta però legittimo il desiderio di voler sapere chi effettivamente possiede queste identità e che cosa intende farne.

Mossa da questo piccolo tarlo invadente, ho fatto una ricerca in rete e, alla fine, mi sono imbattuta in un sito fatto apposta per chi -come me- è alla ricerca di una risposta soddisfacente alla domanda di cui sopra. Il sito si chiama, tanto per essere espliciti, Who owns Facebook, e fornisce un resoconto dettagliato delle percentuali di proprietà del social network.

Scorrendo le informazioni presenti sul sito scopro immediatamente che Mark Zuckerberg è, a tutt'oggi, l'azionista di maggioranza di Facebook. Con ben il 24% delle azioni (per un valore di 20.4 miliardi di dollari) sia dal punto di vista finanziario che dal punto di vista formale e mediatico è ancora lui il capo e, finché non procederà al lancio dell'offerta di pubblico acquisto, non c'è rischio che venga fatto fuori, depredato di quanto ha costruito. E forse è anche per questo che l‘IPO tarda ad arrivare…

Ma al di là di ogni speculazione sta di fatto che, nonostante nelle sue apparizioni pubbliche appaia sì entusiasta e loquace, ma sempre un po' timido e spaesato, Zuckerberg dev'essere un tipo tutt'altro che docile e malleabile. E questa è una convinzione che proviene non tanto dalla storia della creazione di Facebook, dal ritratto che fa di lui Saverin e che il film di Fincher ci restituisce, ma proviene da una banale considerazione: per tener testa ai nomi dei comproprietari di Facebook (che tra poco conoscerete) e non soccombere, bisogna essere (imprenditorialmente parlando) uno squalo tra squali. E a questo punto credo che Zuck lo sia.

Il secondo azionista di Facebook è, in realtà, una società di venture capitalist: la Accel Partners e -quindi- un soggetto collettivo che vede tra i suoi principali animatori Jim Breyer. La Accel possiede il 15% di Facebook, per un valore complessivo di 12.75 miliardi di dollari, ed è stata tra i primi a mostrare fiducia nel progetto (l'investimento ha avuto luogo nel 2005) in seguito a un'indagine sotto copertura all'interno della Stanford University, dove Kevin Efrusy -prima semplice associato e ora partner della Accel- scoprì che gli studenti erano letteralmente ossessionati dal social network e che c'erano già diversi investitori interessati al progetto.

Naturalmente, per verificare che non ci fossero "interessi contrastanti", ho spulciando nel portfolio delle aziende possedute da Accel Partners e non ho trovato nessun nome sospetto.

Il primo test, quindi, mi pare superato.

Il terzo azionista di Facebook è Dustin Moskovitz, ex compagno di stanza di Zuckerberg ed ex CTO della compagnia. Moskovitz ha contribuito moltissimo allo sviluppo e alla nascita di Facebook ed  rimasto in azienda fino al 2008, anno in cui ha lasciato Palo Alto per fondare una nuova compagnia Asana. Attualmente possiede il 6% di Facebook, per un valore di 5.1 miliardi di dollari ed è angel advisor di Path, società di mobile photo sharing creata da un altro ex Facebook: David Morin.

Fin qui le cose sembrano filare piuttosto lisce: una società di venture capitalist, un ex dipendente nonché co-fondatore… Tutti volti "amici" per Zuckerberg e, salvo stravolgimenti, il giovane imprenditore non dovrà certo guardarsi da loro. Ma ora cominciano i dolori.

Un 5%  della compagnia (per un valore di 2.75 miliardi) è in possesso di Eduardo Saverin, il che non dovrebbe rappresentare una grande consolazione per Mark. Saverin, infatti, ha fatto causa a Zuckerberg rispetto alla proprietà del social network (di cui è stato il primo vero investitore) e malgrado i due siano giunti a un accordo con tanto di firma da parte di Eduardo di un accordo di non divulgazione, non so quanto Zuckerberg possa sentirsi al sicuro con una "serpe in seno"… Se poi si considera che Saverin non è certo l'unico "nemico" a detenere una percentuale della società le cose si complicano. I due fratelli Winklevoss e Dyvia Narendra -protagonisti di un'altra lotta per la paternità di Facebook, anche loro zittiti da un accordo privato- possiedono in totale lo 0.66% di Facebook, per un valore di 56.1 milioni di dollari. E non si commetta l'errore di credere che un fondatore non possa mai essere estromesso dall'azienda che ha creato (il caso Steve Jobs insegna…)

In ogni caso, al momento il rischio non esiste. Le percentuali in possesso dei "nemici" sono davvero esigue e quasi certamente negli accordi patteggiati durante i contenziosi legali ci saranno clausole che salvano Mark da future rappresaglie. Inoltre, i restanti azionisti sembrano volti amici. Almeno per il momento. Si tratta dei due mentori ufficiali di Zuckerberg: da un lato Sean Parker -il geniale e ingestibile creatore di Napster, dall'altro Peter Thiel, creatore di PayPal, di solida fede conservatrice, cinico e fiero "squalo" della finanza, proprietario del 3% di Facebook. Parker possiede, invece, il 4% di Facebook (per un valore di 3.4 miliardi) e probabilmente è la mente che sta dietro al successo del social network. Incontrò Zuckerberg nel 2004 ed è stato non solo un suo fedele advisor, ma addirittura una sorta di "presidente onorario" del social network. Fu lui a negoziare l'accordo con Accel Partners e Peter Thiel, e ha fatto parte del gioco fino a quando -nel 2005- fu arrestato per detenzione di droga. Da allora non fa più parte dell'establishment ufficiale della compagnia ma continua a influenzare moltissimo il giovane Mark.

Le sue intenzioni, così come quelle Thiel, non sono prevedibili. Si tratta di personaggi opposti eppure convergenti nel loro ostinato anti-conformismo spesso sopra le righe. Considerando l'influenza su Zuckerberg di due mentori così "estremi", uno tecno-anarchico l'altro ultra-conservatore, il minimo che si può fare è tenere gli occhi aperti… Nel bene e nel male.

Tra i soci sopra l'1% ci sono la russa Digital Sky Technologies (che possiede anche VKontakte, il più importante social network russo ed è una di quelle forze che cercano di inserirsi un po' ovunque) che partecipa al banchetto con un consistente 5%, mentre Microsoft, unico colosso a possedere una quota del social network, si "accontenta" dell'1.6%. Greylock Partners, Marytech Partners ed Elevation Partners (vale a dire Bono Vox & Co, ve lo aspettavate?) possiedono ognuna l'1.5% di Facebook. Tra i soci all'1% si annoverano: Jim Breyer (angel investor, il principale animatore di Accel Partners che, non contento del 15% posseduto dalla società di venture capitalist, ha voluto investire un milione di dollari di tasca propria, assumendo una decisiva influenza sulle decisioni aziendali…); Goldman Sachs (che acquistando l'1% del social netowrk per 500 milioni ha portato a 50 miliardi di dollari il valore di Facebook, insospettendo non poco la SEC…); Chris Huges, tra i fondatori del social network ed ex portavoce della compagnia (di cui è sempre stato la mente "umanistica") nel 2007 lasciò Facebook per curare la campagna web di Obama e nel 2008 ha fondato Jumo, il social network che riunisce tutte le ONG, le organizzazioni no profit e chiunque lavori per cambiare il mondo.

Alti investitori contribuiscono con quote inferiori all'1% ma, già osservando questa variegatissima carrellata di investitori e studiando la personale vicenda di ognuno è possibile fare delle ipotesi su quale potrebbe essere il futuro di Facebook e in quale direzione Zuckerberg sarà "costretto" a muovere il social network se intende soddisfare le aspettative dei molti che hanno investito su di lui, e non certo per desideri filantropici, ma perché convinti di avere tra le mani una potente bomba commerciale. Quanto i legittimi desideri lucrativi degli investitori riusciranno ad accordarsi ai doveri etici che ogni compagnia dovrebbe rispettare è la domanda cruciale che tutti dovrebbero porsi.

Perché Facebook non è una compagnia come le altre. Facebook è uno strumento che, se usato con criterio e nel rispetto dell'etica, potrebbe davvero cambiare in meglio il volto del pianeta ma, se utilizzato senza scrupolo alcuno e senza rispetto per i diritti degli suoi utenti, trattati solo come "teste da vendere a qualunque costo" potrebbe generare scenari aberranti che è bene scongiurare con ogni mezzo. Anche se sembrano fantascientifici.

La storia dovrebbe averci insegnato che, pur mantenendo sempre un lucido contatto con la realtà e senza scadere nell'atteggiamento apocalittico, occorre essere attenti e non commettere neppure l'errore di sottovalutare certe storture. Chi, nei primi del ‘900, poteva aspettarsi che la ricerca sull'atomo avrebbe portato all'uccisione migliaia di persone (a guerra finta, per pura rappresaglia e solo per dimostrare a tutti chi è che comanda)?

Qualcuno lo aveva sussurrato, ma venne preso per matto.

N.B. Onde evitare sommosse popolari specifico che non sto paragonando Facebook alla bomba atomica, ma solo evidenziando che -talvolta- si avverano anche le più incredibili tra le previsioni, e l'unico modo per evitarlo è restare all'erta evitando di cullarsi nel tecno-entusiasmo e nel pragmatismo del "figurati se potrebbe mai accadere che…". Spesso, sono le ultime parole famose.

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