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Cosa prevede l’ultima versione della Web Tax proposta dal Governo

L’ultima versione della Web Tax prevede una tassazione del 3% sui ricavi delle aziende che operano online e traggono profitti dalle proprie attività sul nostro territorio. Nel mirino i soggetti che vantano ricavi globali di almeno 750 milioni di euro annui dei quali almeno 5,5 milioni derivanti dall’offerta di servizi digitali.
A cura di Lorenzo Longhitano
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C'è anche una web tax tutta italiana tra le ultime correzioni ai saldi della manovra in arrivo in queste ore in commissione Bilancio del Senato. La misura proposta prevede una tassazione del 3 percento sui ricavi realizzati ogni trimestre dalle grandi aziende che operano online sul nostro territorio e, se approvata, dovrebbe entrare in vigore entro i primi mesi del 2019.

Chi viene colpito

Nel mirino ci sono le aziende che traggono profitti in Italia da due tipologie di attività: l'ecommerce e il complesso che riguarda pubblicità online e big data. Da una parte — insomma — Amazon, eBay e tutti i soggetti che realizzano profitti dalla vendita di beni online, propri o di terze parti; dall'altra le piattaforme come social network e motori di ricerca che utilizziamo gratuitamente ma realizzano profitti enormi utilizzando le nostre informazioni e il tempo che spendiamo online per vendere inserzioni più efficaci alle aziende disposte a pagare — e in questo caso a venire in mente sono subito i nomi di Google e Facebook.

Le aziende candidate alla tassazione sono in realtà molte di più, ma per essere sottoposte al prelievo devono comunque soddisfare due condizioni: vantare ricavi globali di almeno 750 milioni di euro annui e guadagnare almeno 5,5 milioni di questi da servizi digitali.

I precedenti e le critiche

In realtà non è la prima volta che si parla di web tax in Italia e una legge a riguardo c'era già: si tratta di una norma approvata poco più di un anno fa dal precedente governo dopo un percorso travagliato e che sarebbe dovuta entrare in vigore da gennaio, ma che rimarrà inapplicata perché rimasta priva del relativo decreto attuativo.

Neanche quest'ultima versione però è perfetta. Innanzitutto perché — come fanno notare i primi osservatori — c'è il rischio che la tassazione finisca per colpire ancora una volta i cittadini sotto forma di una maggiorazione dei prezzi per i servizi offerti. Soprattutto però perché figlia di una iniziativa nazionale, anziché realizzata insieme agli altri governi europei che hanno deciso di muoversi allo stesso modo.

La proposta europea

Il Fondo Monetario Internazionale in effetti aveva già lanciato mesi fa un monito ai Paesi dell'Unione al riguardo: per l'FMI procedere alla rinfusa ciascuno con la propria web tax nazionale rischia di avere effetti controproducenti e tassare secondo principi locali aziende che si basano su attività di natura transnazionale non costituisce una soluzione percorribile a lungo termine. La Commissione Europea del resto aveva avanzato a marzo una proposta di tassazione al 3%, temporanea ma che avrebbe visto tutti i Paesi membri agire di concerto in attesa di una misura complessiva. Quel progetto però sembra rimasto nel cassetto, in uno stallo che recentemente ha spinto anche la Francia a muoversi da sola verso una propria versione della web tax.

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