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Opinioni

Così l’arroganza di Apple si scontra con il Fisco

L’accordo tra il Fisco italiano ed Apple, che ha portato quest’ultima pagare 318 milioni di euro, è più importante di quanto possa sembrare. È la prima crepa nel sistema perfetto orchestrato da Cupertino, che ora rischia di cadere vittima di un precedente potenzialmente distruttivo per Apple e per l’elusione in tutto il mondo.
A cura di Marco Paretti
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apple store

Una punizione esemplare. L'accordo tra il Fisco italiano ed Apple, che ha portato quest'ultima pagare 318 milioni di euro, è più importante di quanto possa sembrare. Lo è perché pone un precedente importante a livello internazionale. Lo è perché rappresenta una vittoria, positiva e incoraggiante. Lo è perché mette un freno a quella che nel corso degli ultimi anni era diventata una sorta di immunità fiscale delle grandi aziende tecnologiche americane. Colossi, quindi, che ora non sono più al sicuro.

L'accusa è quella che accompagna un po' tutte le realtà del settore: Apple fattura in Irlanda, dove vige un sistema fiscale più conveniente, anche le vendite avvenute nel nostro Paese. In totale, secondo il Fisco, l'azienda fondata da Steve Jobs e ora guidata da Tim Cook avrebbe evaso 880 milioni di euro di Ires tra il 2008 e il 2013. Il risultato? Cupertino ha dovuto staccare un assegno da 318 milioni di euro nei confronti del Fisco italiano, che nel corso degli ultimi mesi l'ha messa alle strette. È la vittoria di un (tutto sommato) piccolo paese su un colosso internazionale, un evento importante non solo per l'essere una prova di forza nei confronti di aziende sempre più fiscalmente spudorate, ma anche per l'averlo fatto davanti agli occhi dell'Europa.

tim cook bocconi

Già, perché proprio in Europa la sfida tra i colossi che evadono le tasse fatturando in Irlanda è sempre più accesa. E non riguarda solo Apple. Amazon, Google e altre realtà americane (e non) sono accusate di aggirare il Fisco allo stesso modo. Le aziende "cross-border", cioè quelle che operano in diversi paesi, riescono a tagliare circa il 30% dalle tasse da pagare rispetto alle realtà presenti unicamente su un territorio. Una situazione frutto del continuo schivare legislazioni e strappare accordi con paesi che assomigliano più a ricatti: in Irlanda Apple gode di una tassazione del 2% perché, al governo, ha fondamentalmente detto "o così, o riduciamo la presenza e, di conseguenza, i posti di lavoro". Nel frattempo in Europa si continua a parlare di una base imponibile consolidata comune per l'imposta sulle società (CCCTB, Common Consolidated Corporate Tax Base), cioè una tassa uniformata su tutto il territorio europeo per le multinazionali. Anche per mettere un freno alla concorrenza fiscale tra stati che favorisce le aziende elusive. Si procede a rilento, ma questa decisione potrebbe fornire la spinta necessaria per far procedere i lavori.

L'obiettivo è quello di contrastare il continuo saltellare tra paradisi fiscali e realtà off-shore per evitare le imposte locali, una pratica che rende le grandi ricchezze delle aziende fondamentalmente esentasse. Apple ha messo al sicuro nelle casse di paradisi off-shore circa 181 miliardi di dollari, ma non è l'unica; a seguire la sua strada sono anche Microsoft (108 miliardi di dollari), IBM (61,4 mld) e Google (47,4 mld). Anche in Italia l'azienda di Cupertino non è di certo l'unica ad essere finita nel mirino delle autorità. Google, per esempio, è indagata per l'evasione di circa un miliardo di euro, del quale il Fisco rivorrebbe almeno 150 milioni di euro. E di situazioni del genere l'Europa è piena, ma finora le ritorsioni sono state poche e di poco conto. Per questo quella contro Apple è una decisione audace che si scontra con l'arroganza dell'azienda.

apple-store

Un termine, arroganza, disseminato qua e là anche nel rapporto degli esperti di Washington che nel 2014 analizzarono le manovre fiscali di Cupertino, scovando una serie di trucchi e sotterfugi talmente radicati nelle operazioni del colosso da rendere il tutto assimilabile ad un "labirinto di società inesistenti". Il quadro generale dipinge un'azienda senza scrupoli che posiziona le sue filiali in maniera così strategica da pagare cifre ridicole, tra il 2% e lo 0,05% di tasse. Proprio quell'azienda che da molti viene considerata un paradiso dell'equilibrio e dell'innovazione, fondata da un creativo rivoluzionario e capace di cambiare il mondo con i suoi prodotti. Ma anche di manipolare i conti come meglio crede. Almeno fino ad ora, fino alla resa al Fisco. La prima crepa nel sistema perfetto orchestrato da Cupertino che ora rischia di cadere vittima di un precedente potenzialmente distruttivo per Apple e per l'elusione in tutto il mondo.

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Giornalista dal 2002 specializzato in nuove tecnologie, intrattenimento digitale e social media, con esperienze nella cronaca, nella produzione cinematografica e nella conduzione radiofonica. Caposervizio Innovazione di Fanpage.it.
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