Le ultime elezioni presidenziali che hanno portato alla vittoria di Donald Trump sono state hackerate? In parte, secondo le autorità Usa, sì. Ma non con le modalità che in molti credono. Quando si parla di attacco hacker ad un processo elettorale, soprattutto se gestito in maniera elettronica come accade negli Stati Uniti, la prima cosa che salta alla mente è un attacco ai sistemi informatici che governano il voto vero e proprio, con la possibilità da parte degli hacker di modificare il numero di voti a favore di uno o dell'altro candidato. La realtà è ben diversa e, come spesso accade nel mondo dell'hacking, il vero obiettivo sono i dati.
Basta prendere come esempio l'ultima decisione di Obama di espellere dagli Stati Uniti 35 agenti dei servizi segreti russi perché "hanno hackerato il voto in Usa". Secondo FBI e CIA lo hanno fatto per favorire la vittoria di Trump, ma senza toccare le macchine per il voto. Cosa hanno hackerato, quindi, gli hacker russi? Per lo più i database in teoria segreti e gli account personali dei democratici. Gli hacker hanno colpito tutti, dai politici ai consulenti, dagli uffici legali ai sindacati. Durante questo processo hanno avuto accesso, tra gli altri, agli account dell'ex presidente del Comitato nazionale del Partito Democratico Debbie Wasserman Schultz, del responsabile della campagna elettorale della Clinton John Podesta e della stessa Hillary Clinton.
Secondo i rapporti di alcune associazioni di sicurezza, gli hacker avrebbero avuto accesso ad oltre 100 account email e a due database di votanti. Da qui è nato il processo di pubblicazione di email "scomode" che secondo molti hanno portato alla sconfitta della Clinton. Un approccio che ha coinvolto anche la pubblicazione di notizie false che, insieme agli effetti prodotti dalla "filter bubble", la bolla autoreferenziale che può crearsi sui social network, ha portato ad un caos dal quale la Clinton è uscita sconfitta. Per hacking delle elezioni si intende questo: colpire i sistemi informatici dei partiti – spesso troppo poco difesi, come hanno denunciato diversi esperti informatici – per poi pubblicare gli elementi più scomodi e potenzialmente dannosi alla reputazione di un candidato.
E l'operazione di voto vera e propria? Secondo le autorità americane non si sono verificate intrusioni all'interno del voto elettronico. Un elemento che, come avevamo spiegato in passato, risulta pressoché impossibile a causa della decentralizzazione del processo elettorale e della quantità di voti coinvolti. Oltre che per la situazione frammentaria dei sistemi di voto, che variano da stato a stato. Sono 15 gli stati che utilizzano macchinari elettronici che non lasciano una traccia su carta, mentre più del 70 percento dei votanti lo fa a mano o su macchinari che lasciano una traccia su carta. Se anche una forza straniera decidesse di hackerare queste macchine, la procedura sarebbe estremamente complessa. Il motivo? I macchinari potrebbero anche essere vulnerabili, ma non sono connessi ad internet e quindi richiedono l'accesso fisico, una enorme forza lavoro e una grande quantità di tempo. Ma questo, appunto, non è il caso delle ultime elezioni.