Le nuove tassazioni relative al mondo della tecnologia sono ormai da tempo oggetto di discussione. Passato (si fa per dire) il polverone relativo alla Web Tax (ribattezzata Spot Tax), negli ultimi tempi i riflettori sono tutti puntati sull'ipotetico aumento della tassa sull'Equo compenso, una tassazione che va tutt'ora a colpire tutti i dispositivi elettronici digitali dotati di una memoria interna ed i supporti magnetici vergini, che probabilmente sarà destinata ad aumentare sensibilmente. Ma non per ora.
Dal Ministro dei Beni e delle attività culturali Massimo Bray, è arrivata una doccia fredda per la Società Italiana degli Autori ed Editori (SIAE), che dopo la richiesta di un "semplice riallineamento" alle tariffe europee legate alla copia privata, ha ricevuto uno stop in attesa di valutare le abitudini di consumo multimediale degli italiani.
Intervenuto nel corso di un'affollatissima audizione alla quale hanno partecipato i rappresentanti delle maggiori associazioni di categoria dei diversi stakeholders, la proposta la proposta del Ministro è stata quella di ”sospendere tale aumento, convocare il tavolo tecnico con tutte le parti interessate per condurre uno studio indipendente sull’evoluzione tecnologica e il comportamento dei consumatori, recepire le raccomandazioni del Rapporto Ue dell’ex commissario Vitorino sulla copia privata, in modo da emanare, in tempi rapidi, un decreto che definisca un compenso effettivamente equo’‘.
Una proposta in linea con le attuali disposizioni comunitarie, che darà il via ad uno studio scientifico il cui scopo sarà quello di capire se e quali dispositivi e supporti digitali, sono soliti utilizzare i consumatori italiani per effettuare delle copie private di contenuti ed opere dell'ingegno: sulla base di quanto emergerà da tale studio si potrà decidere se e come modificare le tariffe in vigore.
STOP AD UN AUMENTO DA 200 MILIONI – A conti fatti, l’aumento dell'Equo compenso, così come era stato proposto al Ministro Bray dalla SIAE, sarebbe costato ai consumatori italiani circa duecento milioni di euro, a differenza dei ventisette pagati nel 2012. “Una cifra spropositata già così com’è – affermava Stefano Parisi, presidente di Confindustria Digitale – Con l’aumento delle tutele al diritto d’autore e con i nuovi sistemi di condivisione la quota dovrebbe, semmai, ridursi”.
Fino ad oggi le entrate di Equo Compenso rappresentano circa il 14% dell’intera raccolta SIAE, quota che sarebbe potuta passare al 30% del totale. Una cifra decisamente troppo alta per Confindustria Digitale, che temeva fosse ”commisurata alle esigenze finanziarie della Società degli autori”, una supposizione a cui si era già opposto il presidente della SIAE, Gino Paoli, che ha parlato di Equo Compenso come un “compenso agli autori e non una tassa”.
POTREBBE CAMBIARE TUTTO – E' fondamentale ricordare che l'analisi di mercato di cui ha discusso il Ministro Bray ha lo scopo di valutare una serie di variabili, per modificare un compenso che mira a risarcire gli autori nell'eventualità che un consumatore legalmente possessore di un'opera, possa effettuarne una copia ulteriore o diversa (ad esempio una compilation di brani tratti da album differenti) per scopi puramente personali.
Un concetto ben distante dalla pirateria, il cui scopo dista anni luce dal risarcire gli autori dal danno che gli si viene causato quando si usufruisce di copie illegali delle loro opere audio e video.
Un dettaglio importantissimo che potrebbe portare ad una profonda modifica del concetto stesso dell'Equo compenso, un concetto che è nato tredici anni fa (il 21 maggio del 2001) quando i servizi di streaming musicali erano ancora un miraggio.
Parliamoci chiaro. Nel 2014 se un consumatore utilizza uno smartphone, un tablet o un computer per ascoltare musica, non è detto che lo faccia utilizzando la copia di un'opera acquistata in formato fisico o digitale: la diffusione di servizi di streaming musicale come Spotify, Deezer o la stessa iTunes Radio, hanno profondamente cambiato il modo di ascoltare la musica. E' un discorso più complicato di quel che sembra: pagare l'Equo compenso sui dispositivi mobili come smartphone e tablet, potrebbe portare il consumatore a pagare due volte, dal momento che magari avrebbe già versato il dovuto nel momento della sottoscrizione delle varie offerte all-you-can-listen proposte piattaforme di streaming musicale legali.
"I consumatori si stanno spostando verso il consumo in streaming, dove non si creano copie e il pagamento dei diritti viene fatto già a a monte da chi trasmette la musica" – ha sottolineato Cristiano Radaelli, Vicepresidente di Confindustria Digitale – "non si può chiedere ai consumatori di pagare una seconda volta. Discorso che vale anche per i contenuti acquistati, ad esempio, da iTunes".
Insomma, non ci resta che attendere i risultati della ricerca di mercato, con la speranza che siano resi al più presto pubblici e comprensibili a tutti i consumatori, per convincerli una volta per tutte che pagare le tasse – quelle eque e giuste – è un bene per l'intero Paese.